La felicità degli altri di Carmen Pellegrino

La recensione a quattro mani del nuovo romanzo di Carmen Pellegrino, "La felicità degli altri" - La nave di Teseo - 2021

0
1722
La felicità degli altri di Carmen Pellegrino. La nave di Teseo - 2021

Un libro tra le mani di più lettori diventa un forziere che, aperto di volta in volta, rivela tesori sepolti dietro infiniti doppifondi. Quello che leggerete è l’esperimento di due book blogger che si sono confrontate su una storia che, prima di essere recensita, necessita di essere interrogata, perché animata da una voce tanto stra/ordinaria nel panorama letterario nostrano da indurre, dapprima, a una lettura più emozionale (la prima parte scritta da Domizia Moramarco) in modo da giungere a una riflessione critica solo in un secondo momento (la seconda parte scritta da Anna Quatraro).

 

 

La felicità degli altri di Carmen Pellegrino . La nave di Teseo - 2021Autore: Carmen Pellegrino

Genere: Narrativa

Casa editrice: La nave di Teseo

Pagine: 239

Prezzo: Euro 18,00

ISBN: 978-88-346-0518-9

 

 

Recensione di Domizia Moramarco

Nel suo nuovo romanzo “La felicità degli altri”, pubblicato per La nave di Teseo nel febbraio 2021, Carmen Pellegrino si fa cantastorie dei dolori mitico-ancestrali, storici e umanamente fragili, viaggiando di terra in terra, di memoria in memoria, di cuore in cuore. Fra presenze che sostano nelle zone d’ombra e figure che emergono dalla foschia di indefinite dimensioni temporali, l’autrice narra una storia-non storia che è, al contempo, la storia delle storie, delle anime smarrite fra nembi di dolori e sprazzi di luna, in attesa del riverbero solare. Perché quando l’Anima cerca sé stessa, le stelle si inchinano al suo passaggio.

“Quando l’invisibile abbandona il mondo quotidiano (come fece con Giobbe, lasciandolo afflitto da ogni sorta di disgrazie fisiche e materiali), allora il mondo visibile non può più alimentare la vita, perché la vita non ha più il suo sostegno invisibile.” (James Hillman – Il codice dell’anima)

 

“Nell’inverno del mio cuore ho desiderato a lungo di essere amata”

 

Quanto dolore ci portiamo dentro. Un dolore duro come pietra, che si sedimenta tutto intorno al cuore.

A quel dolore diamo una forma, un volto, un nome. E ci cammina accanto, come presenza rassicurante nello psicodramma della vita che insceniamo.

Attori sul palcoscenico, con l’abito di gesso cucito addosso, nulla più ci infrange. E osserviamo la platea, in attesa di uno sguardo. In attesa di essere guardati.

E intanto ripetiamo la nostra parte, insceniamo e immaginiamo. Le immagini sono i fotogrammi che arrivano, confusi, da un passato che crediamo reale. Su questo passato ordiamo il canovaccio del nostro spettacolo.

 

Dall’origine…

Inizia sempre in un luogo, la nostra storia. In una casa che prima accoglie, poi scaccia via. Siamo gettati nel mondo come feto respinto, con violenza, verso un baratro perturbante. E allora impariamo a proteggerci, in un angolo di mondo uteroso, buio, che rifugge la luce, “una terra dove tanti di noi scolorano.” È il luogo che i più temono, perché impegnati a cercare la luce, come in una tela di Caravaggio:

“La luce nei suoi dipinti, la luce su cui noi ci soffermiamo per indicarne il genio, è un bianco che si afferma per contrasto: se non ci fosse ombra, non lo vedremmo.”

La natura è tutto uno scontro-incontro di opposti, e la coppia Luce-Ombra partecipa di questo conflitto. O ci oscuriamo o ci illuminiamo. Sempre e solo da una parte. Come fa Cloe, nella quale urge l’abisso, e che preferisce essere Anais, la quale si assume “il compito di togliere il genere umano dalle tenebre.” Di salvare i bambini feriti per sempre, con un varco aperto nel cuore nascosto nella dura pietra, da padri assenti e madri Medea. Sono le anime innocenti che dalla vecchia Europa giungono a Gerusalemme in una spedizione di coraggio e speranza e che, arrivati alla vetta del Monte, chiedono a Dio:

“cosa c’entriamo noi?”

Il genere umano, sembra gridarci la storia, o nasce sotto una stella calda e rassicurante, o cresce all’ombra di violenza e incuria. Come sopravvivere a questo dolore, come perdonare chi non ha saputo proteggerci dal buio? E soprattutto, si può amare se non si è stati amati?

L’amore come rifugio, come antidoto alla solitudine, come fuga.

“… l’oscurità, diceva il professor T., è ciò da cui la luce prende origine. Nessun giorno spunterebbe mai, se la notte non preparasse la vita.”

Cade la terra di Carmen Pellegrino. Giunti - 2015
Cade la terra di Carmen Pellegrino. Giunti – 2015

Giorno e notte, dunque, si inseguono, ma senza incontrarsi mai. Nel loro perenne sfuggirsi e scontrarsi, c’è infine anche un volersi incontrare. Quando il loro amarsi e odiarsi si dilegua per ricongiungersi, finalmente, l’uno nell’altra. Ma fino a quando non capiranno cosa manca all’uno, e cosa all’altro per ritrovarsi, non si troveranno ancora.

La Luna può credere di essere il sole nella notte e il Sole la luna che illumina la notte. La luna vive di luce riflessa del sole, essa splende nella bassa oscurità, mentre il Sole si innalza, nella luce piena. Fra discese e risalite, la luce si alterna tra le braccia umide della luna e quelle forti del sole, fra abisso e coscienza. È l’altalena sulla quale sale e scende Cloe, a intermittenza, nella sua vita.

 

“Se solo avessimo il coraggio di fare la posta alle ombre, di coglierne il suono leggerissimo rivolto soltanto a noi.”

 

… al confine

L’oscurità vuole dirci qualcosa, vuole che teniamo gli occhi ben aperti mentre ci immergiamo in essa, solo così il velo potrà calare e rivelare un bianco accecante. Scopriremmo, così, che è nel buio che si nasconde la luce. Ma se non ci riappacifichiamo con la notte, l’alba mai spunterà. Bagnandoci di oscurità, entriamo in una nuova fonte battesimale, risaliamo dopo aver toccato il fondo.

“Chi attinge a quest’amara e salutare fonte, beve la conoscenza dell’Ombra.”

(Carl Gustav Jung, Mysterium coniunctionis)

Tenendo le redini della propria vita, Cloe si illude di poter guidare la biga trainata dalla coppia di cavalli di platonica memoria:

“Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sì e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.”

(Platone, Fedro)

Un’altra opposizione, fra cavallo (istinto) buono, e cavallo (desiderio) peccaminoso. Perché trainare a forza verso la contemplazione alta, l’animale che è dentro noi? Perché ammansirlo, esponendolo alla luce, anziché lasciarlo libero di vagare anche nell’oscurità?

L’esperienza degli opposti può condurre l’auriga sulla strada giusta? Potrà Cloe accettare la traccia della sua vita, come una mappa di ferite e dolori? Potrà mai tornare nell’abbraccio delle acque amniotiche di chi l’ha scaraventata nel mondo, senza amore?

“qualche volta il colpo ha un ritorno e becca proprio noi, così si aggiunge ferita a ferita, e finiamo per essere le nostre ferite…”

Accettare il proprio destino è forse la sfida più grande che l’uomo debba affrontare. Un destino che non è fato gratuito, ma è conquista di quella parte di sé che già si è in nuce (o in noce-ghianda come direbbe James Hillman). E Cloe, che si fa Redentrice fra le selve di occhi che interrogano/incolpano, da madri senza utero in un ventre pieno di vita, e da altre che partoriscono senza amore, diventa fatale punto di incontro tra Bene e Male.

Sul precipizio sceglie se, passando per rassegnazioni, sfiducia, rancori, proiezioni, immaginazione, fantasticherie, il suo viaggio nell’ombra potrà renderla l’adulta in grado di provvedere alla bambina che è stata.

Il percorso catartico diventa allora catena umana, dove anime avvezze alle ferite del mondo tendono mani, spesso invisibili come quella del professor T, esperto dell’Estetica delle ombre. E allora in nuovi panni, quelli di Esoluna, Cloe si immerge nel suo dolore, per uscirne come anima purificata, diretta verso una consapevolezza interiore sconosciuta, tracciando un nuovo e possibile cammino. Un cammino che tende all’immaginabile spiegazione al male, perpetrato contro gli innocenti, e una umanità inconsapevole.

 

“Il fatto è che siamo viandanti nell’oscurità, ogni vita è qualcosa che non si potrà mai afferrare del tutto.”

 

Poesia ispirata a “La felicità degli altri” di Domizia Moramarco

La mia Anima fragile

Venne

A mani nude

Vuote

Ferite.

Sanguinava parole.

Incedeva nel fango,

i piedi scorticati,

la scia purulenta dietro di lei.

Non volse lo sguardo indietro.

Sapeva che, se lo avesse fatto, non sarebbe più venuta da me.

Io che l’accoglievo,

ogni volta.

Annusavo il sudore sui suoi capelli.

Aspiravo il sale dalle sue guance.

Così, derelitta e perduta,

lei veniva da me.

Io, la sua ancòra.

Lei, lo strappo da ricucire.

 

Recensione di Anna Quatraro

 

L’opera di Carmen Pellegrino condensa nel tempo labirintico e frammentario della memoria una storia (im)personale che offusca i confini del reale e del possibile, trasportando il lettore nella dimensione dell’infranto, nel vuoto senza tempo e nella fragilità che continua a incespicare su di sé, in ragione di un’affezione per le cose spezzate.

Il passato è per Clotilde un luogo senza confini precisi, disseminato di fantasmi selvaggi, dilaniato dal suo centro e sempre più sbilanciato. In un mondo decentrato, il tempo perde la sua consistenza, per diventare abisso e annegamento: la verità e l’amore si zittiscono per far riaffiorare l’imperduto che si rileva frammisto al senso del sacro e nascosto nella crudezza del reale – pur senza accompagnarsi a bieco cinismo e rassegnazione.

Se mi tornassi questa sera accanto di Carmen Pellegrino. Giunti - 2017
Se mi tornassi questa sera accanto di Carmen Pellegrino. Giunti – 2017

Si dispiega così il tempo della caduta, e del peccato originale che non risparmia i bambini, ma li sacrifica senza motivo, per una necessità ultraumana la cui logica balugina appena nell’arco della narrazione. La memoria è un meccanismo onnivoro che trafuga le apparizioni del vero e dell’immaginario, investiga nelle ombre che non hanno il coraggio di rivelarsi a tutto tondo, cerca la pace nel gioco straniante della sottrazione e della fuga.

Cloe vive una voragine: appaiono invece la madre Beatrice, il fratello Emmanuel, il professor T., docente di Estetica dell’ombra a Venezia, il compagno Baldassare, il Generale e Madame, l’amico Jerus, l’infermiera Angela.

Le immagini, come quella di una figurina alla quale da piccola Cloe si appassiona, e di una Venezia schiacciata dalla nebbia – una Venezia fantasmagorica – giocano così un ruolo centrale, fra luce e tenebre, nell’equilibrio che Cloe cerca di ricostruire: si tratta di un’anastilosi, ovvero di un graduale processo di ridefinizione dell’identità, per liberarsi dal timore dell’oscurità:

“Se solo avessimo il coraggio di fare la posta alle ombre, di coglierne il suono leggerissimo rivolto a noi. Se riuscissimo a entrare nella casa chiudendoci la porta alle spalle e poi, armati di grimaldello, aprire le stanze, una ad una….”

L’equilibrio abbozzato da Cloe è un mazzo di interrogativi che si sciolgono di fronte alla responsabilità verso il mondo, alla lacerante assenza di Dio, o al suo semplice disinteresse, i quali tuttavia non impediscono alla protagonista di confrontarsi con il suo mistero. C’è così tanta luce, negli occhi della donna, da annebbiarne la visione: solo il buio, il confronto con la terra, umida e materna, le restituiranno la capacità di vedere, oltre il visibile, nello spettro dell’immateriale, nella consistenza dell’acqua e dell’aria, infine nella distanza impercettibile fra il respiro e la sua assenza.

 

L'autrice Carmen Pellegrino
L’autrice Carmen Pellegrino

Chi è Carmen Pellegrino

Classe ’77, è una scrittrice e storica. Nel 2008 ha pubblicato il saggio storico sui movimenti collettivi di dissidenza  ’68 napoletano. Conflitti sociali e lotte studentesche tra conservatorismo e utopie, mentre è del 2015 il suo esordio narrativo con il romanzo “Cade la terra” Giunti, vincitore del premio Rapallo Carige opera prima e il premo Selezione Campiello. Nel 2017, con il secondo romanzo “Se mi tornassi questa sera accanto” Giunti, si è aggiudicata il premio Dessì. Dedita alla scienza dell’abbandono, indaga i borghi disabitati e le rovine di antichi insediamenti, cercando di far rivivere i luoghi e le loro anime. Scrive per l’inserto letterario La lettura de Il corriere della sera ed è saggista su numerose riviste letterarie. “La felicità degli altri” è il suo nuovo romanzo pubblicato da La nave di Teseo nel febbraio 2021.