Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023
“Una volta Nisida e Posillipo si erano messi a fare l’amore. Poi per tanti motivi non lo poterono più fare. (…) Cosa ci potevano fare Nisida e Posillipo contro il mare? Contro il vento? Contro tutto quello che li separava? A volte uno non può fare altro che inventarsi un po’ di alleria per campare e trovare qualcosa di buono pure là in mezzo.”

Ci sono famiglie che sono come tavoli sghembi. Si tengono in piedi per una forza centrifuga apparente, oscillando fra un moto di tenerezza e uno improvviso di spietatezza.

Carmine Riccio, detto Uvaspina, e Minuccia sono fratelli, il primo dai lineamenti delicati, con una riccioluta e bruna chioma sul capo che lo fa sembrare un criaturo angelico, l’altra più goffa e dallo sguardo sempre in tempesta. A seguito di un amplesso all’ombra di un bosco, sul muschio accanto a un arbusto di uvaspina con cui sua madre si è punta un dito, il primo è nato con “una voglia a forma di chicco d’uva ma pallida come una luna, sotto l’occhio sinistro” e proprio come la bacca si lascia spremere fino all’ultima goccia dagli altri per alleviare, con il suo succo, il dolore altrui, sua sorella è invece stata concepita a seguito del funerale della nonna paterna ed è uno strummolo, una trottola dal punteruolo affilato pronto a colpire, in balia di un movimento rotatorio impossibile da fermare. In giovane età, entrambi assistono alla Resurrezione della loro madre ogni mercoledì sera. La donna, detta La Spaiata per via della riga in mezzo sulla testa che le taglia “in due il cranio, con la stessa geometria con cui Spaccanapoli divideva la città antica tra nord e sud”, muore nel letto una volta a settimana poiché lasciata sola da Pasquale Riccio, suo marito, che si reca al Circolo nautico di Posillipo, di cui è presidente. I due bambini vegliano al capezzale della madre in attesa del suo risveglio, che avviene puntualmente, non senza prima aver lasciato la prole in preda all’angoscia. “Mammà, ti faccio vedere che non ci vai al cimitero, tu devi stare con noi”, ripete ogni volta, disorientata, Minuccia.

La Spaiata un tempo era una “chiagnazzara”, veniva pagata per piangere ai funerali. Sempre pronta a chiagnere e a fottere, a furia di fottere è rimasta fottuta dalla vita. Il suo corpo, pingue, ha assunto movenze fiacche e sgraziate. Si trascina sul palcoscenico della sua vita con indolenza, ma sputa grumi di rabbia addosso al marito che la trascura. Non riesce a opporsi, invece, a sua figlia Minuccia, sempre pronta a scagliarsi contro Uvaspina, al quale la donna lancia sguardi imploranti di sopportazione. E Uvaspina subisce, di notte e di giorno, le angherie di Minuccia, mordendosi la lingua ogniqualvolta non fa attenzione alle parole da dirle.

Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023
“A Port’Alba Uvaspina poteva osservare chiunque: i ragazzi del liceo che cercavano libri per le ricerche di scuola, le maestre, i preti e alcuni bambini che facevano pietà come i cagnolini ciechi appena nati.”

Uvaspina ama studiare e la poesia di Salvatore Di Giacomo, del quale cerca i libri fra le bancarelle a Port’Alba. Ha anche vinto un concorso di scrittura a scuola grazie a un componimento che, una volta mostrato con orgoglio a casa, è stato stropicciato con rabbia da sua sorella.

Femminiello è il soprannome con cui Minuccia schernisce continuamente il fratello. Come se non fossero già abbastanza le angherie dei compagni di scuola. Minuccia disturba, punzecchia, ferisce e sfregia Uvaspina, mettendo spietatamente alla prova la capacità del fratello di sottomettersi alla sua perfidia. Uvaspina subisce, trattiene e si lascia spremere tutto. L’acino viene ogni volta stritolato fra le mani della spietata e volubile Minuccia. Uvaspina, a furia di subire, esplode e decide di liberarsi della sua verginità di anima integra e pura. Salvato dalle acque da Antonio, che lo inizierà alle cose dell’amore, Uvaspina conosce una nuova parte di sé, attiva e desiderante, capace di amare intensamente e anche fragile, per paura dell’abbandono. Minuccia resta preda delle sue emozioni più violente, rabbiosa verso il mondo e chiunque mostri di non darle le dovute attenzioni. Uvaspina comincia a capire come muoversi nel mondo, con un passo più deciso, custodendo dentro sé un amore che ha la forma di grotta, nascosto fra le rocce più possenti e che racchiude il calore più misericordioso.

“Quando Antonio gli entrava dentro, non ero soltanto la sua carne a riempirlo, ma le storie di regine, le favole della città antica, dolce e maliziosa, le squame di una sirena che gli sorrideva sempre, il mare, i frutti sani e non spremuti. Perché quando Antonio se lo stringeva al petto come un bamboloccio, Uvaspina si sentiva intero: capiva il senso di quella voglia che aveva sotto l’occhio sinistro e che si portava appresso dal giorno in cui la Spaiata l’aveva sgravato.”

Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023
“L’acqua, che lambiva tutto, non corrodeva e non scavava Palazzo Donn’Anna: sembrava, piuttosto, che gli ridesse intorno. Chissà se lì dentro ci poteva entrare: forse quel luogo era solo per i principi, le principesse e per quelli che non erano lui.”

E mentre nell’immaginario cinematografico l’amore omosessuale è quello che resiste al candore di un sentimento, sostenuto da innocenza e tenacia, nel romanzo di Monica Acito si insozza con gesti brutali e reazioni feroci. Nonostante l’intensità del sentimento, Uvaspina oltraggia con la rabbia l’amore che prova. Ma come sempre il rancore nasconde il più antico bisogno di essere amati, proprio come la città in cui si svolgono le vicende, Napoli-Partenope, colei che sembra una vergine, la città nelle cui acque scorrono sperma e sangue, vita e morte. Ed è proprio nell’apparente dicotomia vita-morte che si sviluppa il legame tra i due fratelli, che richiama quello primordiale fra Caino e Abele. Minuccia e Uvaspina sono legati dal sangue, sono, in fondo, figure speculari. Se nello sguardo di Uvaspina si leggono remore e sottomissione, in quello di Minuccia albergano ferocia e spietatezza. Sono opposti, ma al tempo stesso complementari. Minuccia invidia l’eleganza del fratello, Uvaspina vorrebbe un po’ della tenacia della sorella. E se con i loro occhi, in realtà non facessero altro che cercarsi, esplorarsi e, in fondo, ritrovarsi l’uno nell’altra, senza più respingersi sempre? Uvaspina si sacrifica come fa Abele, Minuccia prova invidia verso il fratello come fa Caino, e si mette sempre in competizione con lui, cercando di ottenere quello che Uvaspina conquista, desiderando, riuscendoci ogni volta, di annientarlo.

La scrittura di Uvaspina:

La scrittura di Monica Acito è vulcanica, un movimento perturbante dallo stile barocco, che spesso rischia di disturbare il lettore. La sua penna incide, come lo strummolo, scava nella ferita fino a farla sanguinare, senza farsi scuorno. Le parole per Monica Acito sembrano proprio il guizzo improvviso che lampeggia negli occhi di Minuccia e travolge ogni cosa. Le parole sono come lapilli fluorescenti eruttati dal Vesuvio. Chiudiamo gli occhi per non farci accecare e, quando li riapriamo, il cielo si è fatto cenere, la vista è offuscata perché, quello che prima guardavamo illuminato dal sole, adesso ci appare più opaco, insozzato da una verità altra, che porta con sé l’autenticità di un vivere che non vogliamo accettare. Monica Acito denuncia, attraverso la forza delle metafore, l’idillio familiare, svuotandolo della sua immagine nostalgica e mitica.

Così come demitizza la città di Napoli con l’uso frequente di ossimori:

“Tanti secoli prima, la notte di San Giovanni era molto diversa e faceva cambiare tutto, persino il volto di Partenope. Era come se quella sirena isterica si sedesse col culo sul Monte Somma, quello vicino al Vesuvio: mostrava a tutti il suo profilo delicato, ma anche tutti gli sfoghi e le pustole che le nascevano proprio lì, dove cominciava la cosa. (…) Nel sangue di quella gente non c’era l’Italia, ma il Parnaso, l’Olimpo, le ossa dei santi, gli unguenti delle streghe di Benevento e anche le cosce delle mignotte, e tutto veniva mischiato in un grosso impasto che si calcificava nei lineamenti della gente della Campania. Quell’impasto se lo portavano in faccia come il morbillo o come un peccato, nelle occhiaie e nel labbro inferiore.”

Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023
“Le vecchie case napoletane puzzavano sempre di sangue: sangue masticato, sangue jettato, sangue raggrumato, sangue delle bestemmie e sangue liquefatto dentro il sugo di pomodoro della domenica.”

Le lenti che l’autrice porge al lettore per guardare la città sono come quelli della piccola Eugenia nel racconto che apre la raccolta di Anna Maria Ortese “Il mare non bagna Napoli”. Lo sguardo innocente è repentinamente soppiantato da una visione truce e lucida. Il sacro e il profano si sovrappongono, la bellezza dell’immagine interiore cozza con quella reale e destabilizza fino alla vertigine. Impossibile non riconoscere dunque gli echi della letteratura nostrana post bellica che di Napoli ha saputo e voluto mostrare gli aspetti più turpi, mescolandoli con un prezioso tocco magico, dalla già citata Ortese fino a Rea, passando per Fabrizia Ramondino. Come i personaggi di Domenico Rea, i protagonisti di Uvaspina sono preda dei loro impulsi più incontrollabili, disinibiti in balìa di un mondo adulto destabilizzato. Ma Uvaspina e Minuccia si compenetrano, con i loro eccessi di calma e ira, fino a modellare un unico paesaggio, composto da acqua e fuoco. Napoli emerge, dunque, come una città multiforme, dall’anima misteriosa, popolata da figure bizzarre e contraddittorie, avvolta in un turbinoso simbolismo metaforico farcito di realismo magico. Monica Acito dà vita a un impasto linguistico, in cui l’italiano si mescola alle forme dialettali che sanno incidere con più efficacia la narrazione e rendere più reali i personaggi.

La scrittura di Monica Acito si impone nel panorama della narrativa contemporanea con una espressività tutta sua, verace e mordace. L’autrice osa e mostra la realtà invisibile, facendo di Uvaspina un romanzo poetico.

Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023
“La Napoli di Antonio era splendente come certe piante di mare che si vedevano attraverso l’acqua trasparente, non puzzava come la Napoli da cui veniva la Spaiata, dove c’era odore di fogna e pesce avariato. No, non c’era manco odore di fumo che sentiva a Chiaia, il fumo di Merit che impregnava le tende di stoffa pesantee che aveva fatto diventare grigi i soffitti.”

La poesia nel libro è nascosta in ogni riga, perché come intende Martin Heidegger la poesia è la via che “porta alla luce ciò che è nascosto”, rende visibile l’invisibile, così in Uvaspina fra i vicoli più bistrattati di Napoli, maleodoranti e rumorosi, la voracità di affetto dei personaggi si esprime nell’odio e in una collera potenti e ancestrali, che pungono come la scossa provocata dal tocco della medusa sulla pelle della famiglia Riccio. E così come il bruciore dell’ustione poi si placa, così poi torna la frescura, cala il velo di una calma ambigua connaturata all’affetto maldestro, e finisce per avvolgerli tutti.

Un accenno al simbolismo di Uvaspina:

La poesia di Uvaspina è anche racchiusa nel costante simbolismo delle sottotrame che si contorcono alle file intricate che muovono la trama principale. Napoli è una donna dalle mammelle rigonfie che perde latte e sangue. La Spaiata è unita alla sua Minuccia da un amore viscerale e incondizionato, nonostante subisca i feroci sbalzi d’umore della figlia.

“Minuccia, Minuccia sua, nessuno la capiva mai, la sua miniatura, Minuccia del suo grembo, Minuccia delle botte (…) Filomena, Mina, Minuccia, bambina di pietra, che non smetteva mai di abitare il corpo della Spaiata. (…) Spaiata ripeteva il suo nome mille volte nel buio e la bocca le si schiudeva come quella di una carpa fuori dall’acqua, e sentiva il tocco della figlia proprio sull’ombelico, da dove Minuccia era uscita lasciando uno squarcio grande quanto il centro della terra.”

A fare da contraltare alla figura della Spaiata, sempre descritta con immagini portentose, è la madre di Antonio: “l’Acquajola era fatta di acqua fresca e sangue sempre nuovo, come quello che si scioglieva al Duomo di Napoli, perché nelle gambe dell’Acquajola c’erano le ferite di tutta Napoli, città mestruata di sangue.”

Figure di donne estreme ma anche estremamente fragili nel loro amore verso la prole che le mette in ombra. Ed è quello che infine accade a Minuccia.

La trottola finisce di inciampare nel suo stesso filo: il personaggio di Minuccia nell’epilogo subisce. Subisce il suo essere nata donna, con tutti i suoi impeti interiori, vulcanici e irreprensibili, e la sua crudeltà si liquefa ai piedi del Vesuvio, lasciando una impronta rovente nell’animo del lettore, che si riconcilia con l’autrice stessa, la quale nel corso di tutta la narrazione lo ha torturato con una storia dura, aspra, difficile da digerire, ma che lascia il sapore agrodolce al ricordo dei due fratelli che, nel suo immaginario più ancestrale, continuano a lanciarsi occhiate ferine, cariche di un amore incontrollato, sulla riva di una spiaggia.

Scheda del libro:

Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023Autore: Monica Acito

Genere: Narrativa

Casa editrice: Bompiani

Pagine: 416

Prezzo: Euro 20,00

ISBN: ‎ 978-8830109957

 

Chi è Monica Acito:

Uvaspina di Monica Acito - Bompiani, 2023Classe 1993, è cresciuta in Cilento, tra le gole del Calore e i templi di Paestum. Ha iniziato a scrivere da bambina e fin dall’adolescenza ha collaborato con testate cartacee e online. Dopo la maturità classica si è trasferita nel centro storico di Napoli, tra Forcella e Mezzocannone, e si è specializzata in Filologia moderna presso l’Università Federico II. Nel 2019 è approdata a Torino, dove ha frequentato la Scuola Holden. Nel 2021 ha vinto, tra gli altri, il Premio Calvino per la narrativa breve e i suoi racconti sono stati pubblicati su numerose riviste letterarie. È docente di discipline umanistiche presso la scuola secondaria di primo e secondo grado.