L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio - Einaudi 2017

In occasione della Festa della mamma, le bookblogger Anna Quatraro e Domizia Moramarco si confrontano su un romanzo nostrano contemporaneo che offre una serie di riflessioni sulla maternità in letteratura.

La ritornata, questa la traduzione dal dialetto abruzzese del titolo del breve romanzo di Donatella Di Pietrantonio, pubblicato da Einaudi nel 2017 e vincitore nello stesso anno del Premio Campiello, è una tredicenne che viene riconsegnata alla sua famiglia di origine, dopo essere stata cresciuta sin dalla tenera età dal padre-parente, carabiniere, e dalla moglie Adalgisa. Lasciata come un pacco in una casa degradata, tra fratelli sconosciuti e due genitori distanti, la giovane non riesce a darsi una spiegazione sul perché la sua vita abbia preso una piega così drammatica e inaspettata.

Scheda del libro

L'Arminuta di Donatella Di Pietrantonio - Einaudi, 2017

Autore: Donatella Di Pietrantonio

Genere: Narrativa

Casa editrice: Einaudi

Pagine: 176

Prezzo: Euro 12,00

ISBN: 9788806239848

 

Anna Quatraro

Si potrebbe dire che il romanzo si fonda su un’assenza strappata, su un mosaico di schegge non ricomponibili, su ipotesi tracciate coi fili del pensiero e trattenuti dalla speranza. Ciò è vero, ma per dire questa assenza, senza riempirla di parole superflue, Di Pietrantonio cesella il suo stile, scegliendo le immagini del paesaggio aspro dell’entroterra abruzzese, mentre il mondo sfuma e si illumina nell’incontro con l’amore saldo e invisibile di Adalgisa.

Parole asciutte, capaci di esprimere la misura dell’abbandono, senza esprimere un giudizio, e di affondare nei suoi recessi. L’autrice dispiega così una lingua capace di affrontare i silenzi, che ascolti il parlato e il non detto, i sussurri della campagna e i brontolii dell’umore e dello stomaco, il dolore spigoloso del vero.

L’arminuta si confronta con la vergogna degli adulti, con i loro tabù e con i codici di una comunità che la stringe per impedirle di conoscere il segreto che si cela dietro il secondo abbandono che subisce. Nonostante tratti di temi così delicati, il romanzo non si concentra solo sull’afflizione di una protagonista emblematicamente priva di nome, ma indaga sulle dinamiche familiari e su quelle tipiche alla pre-adolescenza, con toni lucidi e delicati.

L'Accabadora di Michela Murgia

 

Un’altra maternità così vivida e inconsueta è stata quella che Michela Murgia presenta in Accabadora (Premio Campiello, 2010), due romanzi che condividono uno sguardo ben preciso e così personale sulla maternità.

 

 

 

Domizia Moramarco

Difficile congedarsi dai personaggi de L’Arminuta, una storia che descrive, fra le crepe del dolore, l’eco ancestrale di una maternità nel suo simbolismo mitico di morantiana memoria.

«Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.» (L’Arminuta, Donatella Di Pietrantonio)

«Io, da quando sono nato, non ho aspettato che il giorno pieno, la perfezione della vita: ho sempre saputo che l’isola, e quella mia primitiva felicità, non erano altro che una imperfetta notte; anche gli anni deliziosi con mio padre, anche quelle sere là con lei! Erano ancora la notte della vita, in fondo l’ho sempre saputo. E adesso, lo so più che mai; e aspetto sempre che il mio giorno arrivi, simile a un fratello meraviglioso con cui ci si racconta, abbracciati, la lunga noia…» (L’isola di Arturo, Elsa Morante)

Bersaglio di dispetti da parte di alcuni dei fratelli, la giovane protagonista, della quale l’autrice non rivela mai il nome, non si arrende alla sua condizione, spera di poter far ritorno alla sua vita passata borghese, dove sua madre profumava e le spazzolava i capelli, dove poteva avere amici e coltivare il suo sogno di ballerina.

A fare da sfondo alla narrazione, un Abruzzo ambivalente: quello vivace e soleggiato del paesaggio marino della città e quello più ruvido e silenzioso del paese. Pur dando spazio prevalentemente a dialoghi e azioni, l’ambiente circostante pulsa fra le pagine del romanzo: il materasso maleodorante di urina dove la protagonista dorme con la sorellina Adriana, la stanza condivisa con i fratelli, maschi, che la scherniscono pesantemente, dove il maggiore Vincenzo prova emozioni contrastanti nei suoi confronti, la cucina rumorosa popolata da utensili e dalle pareti impregnata di odori, i campi assolati dove crescono fiori selvatici.

Donatella Di Pietrantonio

 

Storia di una maternità, negata …

«Eppure in certe ore tristi mi sentivo dimenticata.
Cadevo dai suoi pensieri.
Non c’era più ragione di esistere al mondo.
Ripetevo piano la parola “mamma” cento volte, finchè perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra.
Restavo orfana di due madri viventi.
Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a 13 anni.
Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze.
Non sapevo più da dove provenivo.»

L'isola di Arturo di Elsa Morante

 

« … dalla madre chi ti salva? Essa ha il vizio della santità… non si sazia mai di espiare la colpa di averti fatto, e, finché è viva, non ti lascia vivere, col suo amore.» (L’isola di Arturo, Elsa Morante)

«La madre difende la carne sua, il cuore del corpo suo. Soffre di più la Madonna ai piedi della croce, che il Figlio crocefisso.» (Menzogna e sortilegio, Elsa Morante)

 

Quella che racconta Donatella Di Pietrantonio è la storia di uno strappo profondo che avviene proprio nell’età in cui si entra nella fase intermedia che ci porta alla maturità. A tredici anni, scoprire che quelli con cui si è cresciuti non sono i veri genitori e che, per quanto ci abbiano circondato di amore e attenzioni d’improvviso si sbarazzano di noi senza alcuna spiegazione, è destabilizzante. Cercare un perché è inevitabile e quel perché discolpa i fautori della drastica scelta di liberarsi di una figlia devota. D’altro canto, il richiamo alle proprie origini è altrettanto forte. Un padre silenzioso che però nasconde orgoglio per una figlia che ama studiare, una madre rude che non intende rivelarle la verità forse per non ferirla ancora, un fratello che riconosce in lei qualcosa di diverso, una sorellina che la protegge e che da lei desidera altrettanto, un fratellino ritardato del quale impara a prendersi cura, sono aspetti che con il tempo cambiano, inconsapevolmente, la prospettiva della giovane arminuta.

Anche l’incontro con l’altro sesso segna un passaggio nella sua nuova esistenza, attraverso sensazioni sconosciute nel momento in cui il corpo si trasforma, nemmeno quando una profonda rabbia emerge dalle sue viscere. Vincenzo comprende da subito che fra lui e la sorella ritrovata c’è qualcosa, ma quel qualcosa, nascosto fra gli spasmi amorosi, è in realtà una perturbante vicinanza di anime. Anche Vincenzo si sente diverso dagli altri componenti della famiglia, deve velatamente mendicare l’affetto di un padre che non approva le sue scelte di vita, deve rifugiarsi presso un’altra razza, quella zingara, per mettere alla prova la sua identità confusa, lui che da bambino era uno studente promettente, lui che cerca di riscattarsi da un presente da cui resta impossibile fuggire. Vincenzo capisce che questa sua sorella ritornata ha avuto una occasione per riscattarsi e si sente attratto da lei per quel suo profumo di modernità, pulizia e acutezza.

«Sei tutta coccia. Con le mani sai tenere solo la penna.»

Vincenzo è il filo sottile che lega l’arminuta alla nuova famiglia. Adriana, invece, è la pennellata di candore nel grigiore della condizione in cui l’arminuta è costretta a vivere. È curiosa e genuina, ma anche accorta e generosa. È l’anello di congiunzione a un futuro inaspettato per l’arminuta. Eppure, in questo nuovo trapasso d’età, la protagonista cercherà in tutti i modi di ricucire la ferita con il suo passato, affliggendosi con interrogativi che non ottengono facilmente risposte, perché entrare nel mondo adulto è un passaggio arduo e complesso.

e ritrovata

«Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.»

Le due madri della storia possono apparire donne diverse fra loro. Se prima la distanza sociale le rende opposte l’una dall’altra, l’una raffinata e comprensiva, l’altra trascurata e anaffettiva, con il tempo esse si riveleranno due facce della stessa medaglia: entrambe vittime della loro condizione di donne succubi di una mentalità maschilista e chiusa che impedisce loro di disporre liberamente della propria vita. Laddove la prima passa da una relazione all’altra senza poter esprimere del tutto il suo sentimento materno, la seconda deve soffocare miseria e dolori perché non conosce altro modo di stare al mondo. Ed è proprio la conquista di una identità materna che permea le pagine nella seconda parte della storia.

La ricerca della vera madre è per l’arminuta un viaggio dentro la sua femminilità. Il disgusto per la condizione dell’altra madre (quella biologica) è la negazione di un aspetto della maternità a cui non è abituata. L’immagine materna che lei conosce è quella dell’immaginario collettivo, della madre buona che accudisce amorevolmente la sua creatura, non le fa mancare nulla e le assicura un futuro luminoso.

Al paese, la giovane protagonista scopre una realtà diversa, fatta di sentimenti contrastanti con l’idea di maternità che le è stata trasmessa. La stessa madre buona l’ha abbandonata, ma lei si convince che lo ha fatto perché si è ammalata. La sua vera madre è crudele, percuote i suoi figli, non ha parole buone per loro e la guarda dall’alto in basso, è per lei una estranea. Eppure è sua madre…

Mia madre è un fiume di Donatella Di PietrantonioDonatella Di Pietrantonio aveva già presentato ai suoi lettori il tema della maternità, nel suo aspetto più crudo, nel romanzo di esordio Mia madre è un fiume, dove il legame madre figlia più che abbraccio è un respingimento, una disamina di accuse.

«Amava al contrario, non dava per paura del dare a forza che aveva conosciuto come preda.»

La figura materna, in questa prima storia, emerge da grumi di ricordi, ed è descritta dall’autrice attraverso immagini acquatiche:

«Mia madre è un fiume (…) Era un ruscello (…) È un fiume di vecchi ricordi salvati, che ripete a tutti. (…) Mia madre era un fiume di parole, ora di frasi stereotipate. (…) È un fiume in secca (…) Qua e là una pozza d’acqua ancora, ferma e densa, lambita degli insetti. Fa odore di morte.»

Il simbolismo acquatico è per antonomasia il richiamo alla maternità. Come afferma il filosofo Gaston Bachelard in Psicoanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita:

Psicoanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita di Gaston Bachelard«Ogni acqua viva è un’acqua sul punto di morire. Ora, nella poesia dinamica, le cose non sono quello che sono, sono quello che divengono. Esse divengono nelle immagini ciò che divengono nella nostra reverie, nelle nostre interminabili fantasticherie. Contemplare l’acqua è scorrere; dissolversi, morire.»

Tutti nasciamo nelle acque e ci ricongiungiamo alla terra fluttuando nelle acque, torniamo insomma “a casa”, nel grembo materno. La stessa Elsa Morante racconta storie dove il grembo materno rappresenta il paradiso perduto. Quando Arturo si allontanerà dall’isola sarà ri-nato, perchè abbandona per la prima volta quel ventre che lo ha accolto per anni ma che, a contatto con i turbamenti d’amore e la scoperta della femminilità, lo getta nel mondo adulto.

La voce narrante di Mia madre è un fiume si misura con la tarda età della madre, l’era dello sfacelo che la allontana per sempre dalle sue origini, che per quanto descritte prive di lusinghe, echeggiano pur sempre di un legame incondizionato.

Tornando a Elsa Morante, e quindi alla storia de L’Arminuta, è ravvisabile il binomio nascita-ferita, trauma, ovvero strappo da una condizione di benessere. La protagonista de L’Arminuta è nata due volte, la seconda attraverso un dolore che la ferisce ogni notte, con gli incubi sul cuscino.

Aracoeli di Elsa MoranteE, infine, nel suo ultimo romanzo, pubblicato da Einaudi nel 1982, Aracoeli, Elsa Morante scrive:

«Vivere significa: l’esperienza della separazione: e io devo averlo imparato fino dal 4 novembre, col primo gesto delle mie mani, che fu di annaspare in cerca di lei. Da allora in realtà io non ho mai smesso di cercarla, e fino da allora la mia scelta era questa: rientrare in lei. Rannicchiarmi dentro di lei, nell’unica mia tana, persa ormai chi sa dove, in quale strapiombo.»

Le due figlie ne L’Arminuta

«Mia sorella. Come un fiore improbabile, cresciuto su un piccolo grumo di terra attaccata alla roccia. Da lei ho appreso la resistenza. Ora ci somigliamo meno nei tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate.»

Borgo Sud di Donatella Di PietrantonioLa giovane arminuta non si dà pace, intende scoprire il perché dell’abbandono da parte di Adalgisa, e parte più volte verso il mare per poterla rivedere e poterle parlare. Ma non è mai pronta alla verità e, quando le verrà crudelmente sbattuta in faccia, dovrà imparare a raccogliere i pezzi della sua vita andata in frantumi per poterne ricostruire una nuova, con la nuova se stessa che, a contatto con la vera famiglia, si è trasformata. E la riconciliazione con il suo materno perduto avverrà grazie ad Adriana, la sorellina devota dal viso sempre sporco e dai vestiti laceri, alla sua prontezza di spirito, ereditata dalla capacità di saper individuare, ormai con naturalezza, i richiami del dolore. Un personaggio, quello di Adriana, che ritroviamo, nell’approfondimento delle sue aporie, nel libro successivo dell’autrice abruzzese Borgo Sud come «un angelo con la spada, ma era un angelo sbadato e feriva anche per sbaglio.»