Come le mosche d’autunno di Irène Némirovsky. Il triste epilogo di un’epoca, fra ricordi e nostalgie

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Pubblicato in Francia nel 1931 Come le mosche d’autunno, breve romanzo della scrittrice francese Irène Némirovsky, è stato riproposto in Italia dalla casa editrice Adelphi nel 2007

Vedova settantenne, sopravvissuta a figlio e marito, la balia Tat’jana Ivanovna, protagonista di Come le mosche d’autunno, viene presentata come una donna fragile, dall’aria vivace e dallo sguardo che da acuto comincia talvolta a farsi trasognato. A servizio dell’aristocratica famiglia Karin da generazioni nella maestosa dimora situata nei pressi del villaggio di Sucharevo nella Russia nordoccidentale, è lei che saluta i due fratelli Jurij e Kirill in procinto di partire per la guerra nella scena inziale del racconto. Dopo aver partecipato al ballo, svoltosi in un’atmosfera apparentemente godereccia che offusca in realtà un imminente preludio a morte e tristezza, i due ragazzi si allontanano sulla slitta che lascia solchi profondi sul suolo ghiacciato, mentre alle loro spalle la balia traccia segni di benedizione. Con estrema abnegazione la nutrice resta, sola, a sorvegliare la grande tenuta dopo la fuga dei Karin a Odessa nel gennaio del 1918, accoglie Jurij braccato dai nemici e intraprende, senza alcuna esitazione, un viaggio difficoltoso per raggiungere i padroni con i gioielli cuciti nell’orlo della gonna.

“Mai avrebbero scordato il momento in cui lei aveva bussato alla porta e aveva fatto la sua comparsa, sfinita ma tranquilla, con il fagotto di stracci sulla schiena e i diamanti che le sbattevano contro le gambe stanche”. Grazie all’arrivo provvidenziale dell’anziana donna, la famiglia, da lei seguita, lascia la Russia alla volta della Francia, accolta da umidi e lunghi autunni. Qui, rinchiusi in angusti appartamenti, i Karin “vivacchiavano fino a sera” e “Camminavano avanti e indietro da una parete all’altra, in silenzio, come le mosche d’autunno, allorché, passati il caldo e la luce dell’estate, svolazzano a fatica, esauste e irritate, sbattendo contro i vetri e trascinando le ali senza vita”.

In poche pagine di Come le mosche d’autunno Irène Némirovsky condensa anni di storia, regalando un affresco letterario di un momento da ella stessa vissuto in prima persona. La scrittrice francese nacque a Kiev nel 1903 dove visse fino al 1918 quando, a causa di una taglia messa dai Soviet sulla testa del padre banchiere, fu costretta a trasferirsi in Francia. Il rapporto con la madre fu sempre difficile e contrastante e sin da bambina fu affidata alle cure di diverse governanti dalle differenti nazionalità, dalle quali apprese svariate lingue straniere. In questo breve e toccante romanzo la scrittrice francese ritrae un personaggio davvero singolare. Con il suo modo di agire perseverante e devoto, Tat’jana Ivanovna rappresenta il legame con un’epoca d’oro il cui idillio viene spazzato via con violenza e in modo ingiusto dalla rivoluzione bolscevica. Mentre la famiglia dei Karin, disillusa, fatica ad adattarsi al misero presente, la balia, rimettendosi alla volontà divina, sopravvive grazie ai ricordi, perennemente indaffarata in faccende domestiche in attesa dell’arrivo della neve a Parigi, in uno stato confusionario fra delirio e realtà “il giorno in cui l’avrebbe vista cadere, sarebbe finito tutto … Avrebbe dimenticato. Si sarebbe messa a letto e avrebbe chiuso gli occhi per sempr”e.

Lo stile del romanzo è limpido, la lettura scorrevole. Pur riconoscendo un’impostazione tradizionale nella narrazione, è possibile cogliere il passaggio a un’esposizione più moderna, scandita da una trama concisa, capitoli brevi, dialoghi incalzanti e da un’attenta analisi psicologica dei personaggi. Di primo acchito Come le mosche d’autunno sembra limitarsi a voler raccontare le vicende storiche di una famiglia decaduta, in realtà il lettore più accorto saprà cogliere l’intensità di questo breve romanzo nelle sensazioni di amarezza e solitudine cui è destinata l’umanità. La grandezza di un’epoca che non tornerà e che riaffiora come una punizione attraverso il barlume di un’accorata nostalgia e l’ineluttabile declino di una potenza, quella russa che, agendo nell’illusione della salvezza di quella parte di popolo che si sarebbe voluto proteggere e tutelare da soprusi perpetuati nel tempo, sparge brandelli di dolori e abbandoni lungo il sentiero della storia. Se si considera l’atroce destino a cui andò incontro la scrittrice, morta ad Auschwitz nel 1942, non si può fare a meno di pensare al valore profetico di alcuni messaggi celati dietro le pagine di grandi autori.