Intervista a Daniele Gigli, autore di “T. S. Eliot – Nel fuoco del conoscere”

Dietro le quinte della poesia eliotiana con Daniele Gigli, che racconta il suo nuovo saggio edito da Edizioni Ares.

0
1693

Innovativo, scrutatore dell’inquietudine dell’epoca moderna e attento critico letterario,  fra i più grandi poeti mondiali, T. S. Eliot oggi rivive, in tutta la sua umanità filosofica, nel saggio di Daniele Gigli, pubblicato da poche settimane per Edizioni Ares “T. S. Eliot. Nel fuoco del conoscere”.

Mi libro in volo ha deciso di fare quattro chiacchiere con l’autore che, con metodo rigoroso, ha riletto e tradotto i versi eliotiani, interpretando e indagandone la poetica attraverso testi inediti. Ce lo spiega in questa intervista.

Quando si scrive una biografia, in un certo senso l’autore e il personaggio raccontato si fondono in una sola entità. Ringraziandoti per aver accettato di condividere con le tue parole lo spazio del blog dedicato alle interviste agli autori, ti chiedo subito: come definiresti il binomio Daniele/ T. S. Eliot, e da dove nasce l’interesse per questo grande autore e critico letterario?

«Penso anch’io, come dici, che indagando su un artista sia quasi inevitabile – ma anche auspicabile – arrivare a una sorta di fusione tra studioso e autore studiato. E con Eliot mi è successo esattamente così, da quando lo lessi seriamente la prima volta nell’estate del 2003. Nel libro, all’inizio, lo racconto: avevo venticinque anni, il mondo mi sembrava una fucina di sofferenza annoiata e, più del timore per il futuro, quello che mi strozzava il fiato era l’assenza di un presente, di un presente qualunque che spazzasse via quel tempo sospeso e d’inazione in cui mi sentivo stretto. Fu in questo stato d’animo che mi capitò tra le mani The Waste Land: a mostrarmi “la paura in un pugno di polvere”, certo, ma anche un cumulo macerie che volevano essere mattoni di una nuova costruzione.» 

T. S. Eliot Nel fuoco del conoscere di Daniele Gigli - Edizioni Ares, 2021
T. S. Eliot. Nel fuoco del conoscere di Daniele Gigli – Edizioni Ares, 2021

“Non smettere di esplorare”, recita uno dei versi di T.S. Eliot, parole che potremmo definire in un certo senso manifesto della sua intera poetica. Eliot fu non solo poeta, ma drammaturgo, saggista e critico letterario, che cercò sempre di evolvere la sua scrittura, o meglio la sua ricerca del senso, per lui impossibile da afferrare, in maniera assoluta. La saggezza per lui si perde nella conoscenza, non si ama per la cosa gusta, insomma una verità assoluta per lui sembra non esistere. È proprio così, secondo te?

«In un certo senso possiamo dire di sì, a patto di intenderci sul significato di verità e di assoluto. Perché in realtà Eliot dell’esistenza di una verità assoluta – più vera e più buona di quella che l’istinto e la ragione umana ci permettono di abbrancare e dominare – è sempre stato intimamente convinto. E come dici giustamente tu, la sua ricerca filosofica, letteraria e – aggiungerei – religiosa è integralmente e incessantemente una ricerca di senso: la tesi interpretativa che sottende il libro è proprio questa, che ogni passo di Eliot sia un passo alla ricerca di una certezza in questo mondo. Volendo fare un paragone rozzo, possiamo dire che a lui più che luce per vedere interessa una roccia su cui poggiare con sicurezza il piede. Perciò, tornando alla domanda: una verità assoluta c’è, eccome, ed è anche in qualche modo attingibile dall’uomo, ma non è dall’uomo dominabile. Come disse Benedetto XVI in un bellissimo discorso anni fa, “è vero che noi non possediamo la verità, ma è la Verità che ci possiede”. Per Eliot vale qualcosa di analogo: non si cerca per il gusto di cercare, ma per il desiderio di trovare una verità che precede e che aspetta di essere riconosciuta.»

Nel suo capolavoro, The Waste land, egli quasi minaccia il lettore dicendo “vi mostrerò la paura”, ovvero una ombra che si aggira dietro l’uomo sempre, perché “il genere umano non può sopportare troppe realtà”. Gli uomini sono definiti “vuoti” in una sua raccolta poetica. È tutto così ineluttabile nella sua poetica, o è possibile scorgere un barlume di speranza/redenzione per il genere umano?

«Come ho già accennato prima, Eliot è uno dei più strenui difensori della libertà umana e la sua visione delle cose – tanto più dopo la conversione del ’27, ma è un percorso umano e intellettuale che data pressoché da sempre – è quanto di più distante possa esserci dal determinismo. Quando dice che “tutto il tempo è irredimibile”, come fa in Burnt Norton, o quando parla della storia contemporanea come di un “panorama di futilità e di anarchia”, quando mostra “gli uomini svuotati / gli uomini impagliati”, Eliot mostra delle condizioni storiche ed esistenziali terribili, che tolgono il respiro; ma c’è per lui un dato precedente, che è il libero arbitrio, la dignità inalienabile di ogni singolo uomo. Quel libero arbitrio che impone all’uomo, per quanto ferito dal peccato originale e perciò incapace di compiere un qualunque atto puro, di tendere comunque a purificare sempre, lo dirà nei Quartetti, “il motivo dell’azione”. La speranza c’è, lo mostra la naturale libertà dell’uomo: sarà il suo lavoro di una vita arrivare ad ammettere – e ad accettare – che questa libertà, in sé evidente, deriva da Dio e dalla creaturalità dell’essere umano.»

T. S. Eliot è stato un appassionato cultore del nostro sommo poeta Dante, al punto che il suo capolavoro The Waste land può essere considerato, al pari della Commedia, un viaggio nella terra (desolata) umana, partendo dalla descrizione allegorica della città di Londra. Quali altri parallelismi si possono individuare fra le due grandi opere?

«In Little Gidding, l’ultimo dei Quartetti, c’è una scena in cui la voce narrante incontra un suo vecchio maestro, il “fantasma composito”, e che ricalca anche strutturalmente il dialogo tra Dante e Brunetto Latini… Ma tu mi chiedi del Waste Land: beh, nel libro avanzo un’ipotesi di traduzione – Il paese guasto, anziché La terra desolata che tutti conosciamo – che prende le mosse proprio dal riferimento evidentissimo al XIV canto dell’Inferno, dove si racconta la nascita dei fiumi infernali: “In mezzo mar siede un paese guasto”… Quello verso Dante comunque non è un debito riscontrabile principalmente in questo o quel passo, ma in un atteggiamento morale, tecnico e intellettuale di fronte alla poesia e alla lingua. È il debito di un allievo verso un maestro, un debito che Eliot definirà “di tipo progressivamente cumulativo”.»

T. S. Eliot poeta e T. S. Eliot critico, hai individuato un possibile punto di incontro fra le due dimensioni artistiche?

«Sì, questo è assodato, non esisterebbero l’uno senza l’altro. Eliot si avvicina alla critica perché, dopo aver condotto parallelamente l’arte dei versi e un rigoroso studio della filosofia, trova la prima più corrispondente alle proprie esigenze gnoseologiche. D’altro canto, l’esercizio sempre più ampio e puntuale della critica, e dal 1925 l’attività di condirettore editoriale per la Faber & Faber, lo affina nella sua consapevolezza di artigiano dei versi.»

TS. Eiot Poesie a cura di Roberto Sanesi - Bompiani Edizioni
T.S. Eliot Poesie a cura di Roberto Sanesi – Bompiani Edizioni

Soffermandoci invece sul metodo di lavoro che hai utilizzato per il tuo rigoroso lavoro di ricerca, ti sei affidato ai testi originali in lingua, o hai prediletto delle particolari traduzioni dei testi di T. S. Eliot, che potresti consigliare ai lettori interessati ad approfondire la sua poetica?

«Come sempre faccio, mi sono servito dell’edizione Bompiani (ex Sansoni) curata e aggiornata da Roberto Sanesi più volte tra il 1961 e il 2001, oltre che della splendida edizione di The Waste Land che Alessandro Serpieri fece nel 1982. Ma pur confrontandomi con queste edizioni, e con Angiolo Bandinelli che per primo, in Italia, tradusse The Waste Land con Il paese guasto, tutti i testi in prosa e in versi riportati nel libro sono stati nuovamente tradotti da me: parte ex-novo, parte riprendendo e limando traduzioni già uscite in passato per editori minori, come quelle de Gli uomini svuotati (The Hollow Men) e Mercoledì delle Ceneri

Un biografo è un po’ anche uno storico nel suo lavoro di ricerca. Come sono avvenute le tue ricerche, e quali sono state le scoperte che più ti hanno affascinato nell’indagare la personalità di T. S. Eliot?

«Sì, un biografo è un po’ uno storico e io sono uno storico anche di mestiere, visto che per lavoro valorizzo archivi storici, curandone riordini, inventariazioni, trasposizioni on-line, eccetera. Ma questo libro, l’abbiamo detto, è partito da un incontro di anime, perciò il lavoro è stato anzitutto l’occasione di sistematizzare le intuizioni e le scoperte fatte in anni di frequentazione. In questo senso, la scoperta più sorprendente è davvero quella di guardare una persona amata dopo diciassette anni e renderti conto che non hai ancora finito di scoprirla e che il tempo speso con lei non solo ne ha esaurito il mistero, ma lo ha come approfondito. Che poi, se avessimo più coscienza di noi, non sarebbe la cosa più desiderabile in ogni rapporto?»

Con questo profondo interrogativo si conclude la chiacchierata con Daniele Gigli che Mi libro in volo ringrazia per averci fatto conoscere meglio T. S. Eliot.