

“Se i nostri anni migliori fossero davvero questi non sarei soddisfatto dell’uso che ne stiamo facendo.”I gambi accuratamente accorciati tengono in perfetto equilibrio il mazzo di tulipani bianchi adagiati nel vaso, sul comodino, nella stanza da letto dove una donna anziana esala lenti respiri. Lo sguardo di suo marito, nella foto accanto al vaso, attende di accoglierla nuovamente fra le sue braccia. Un uomo, una donna e un bambino le sono accanto per l’ultimo saluto. Cosa rimane di noi. Storia di famiglie in bilico “Gli archeologi del futuro non troverebbero fotografie, le poche abbiamo sono racchiuse nel disco rigido del computer che, quando verrà rinvenuto, sarà già inservibile da moli anni. (…) L’esistenza del nostro tempo insieme è affidata alla buona memoria, la nostra e quella in silicio di una scheda madre.” Quello che descrive Paolo Giordano nel suo breve romanzo “Il nero e l’argento” – Einaudi 2014, è un nuovo Medioevo dell’anima, in cui i ricordi svaniscono, soppiantati dalla tecnologa e dagli arredi metallici dai colori freddi e dai design minimalisti. Con il riferimento alla teoria degli umori di Galeno, l’autore osserva e analizza, con il rigore di un fisico, i sentimenti contrastanti che si combinano all’interno di un mini-nucleo familiare contemporaneo e benestante: Nora, la moglie madre impegnata professionalmente, sempre in giro per lavoro, che arreda case altrui e nella sua vita privata non riesce a gestire le incombenze domestiche, il marito padre ricercatore universitario, riflessivo e razionale, alle prese con la precarietà lavorativa che accantona le sue pretese di ambizione presso un centro di ricerca a Zurigo a favore della serenità di Nora, ed Emanuele, figlio unico, attratto dalla tecnologia, che passa il tempo libero con i videogiochi. Il marito è la voce narrante della vicenda, che ruota intorno alla figura della signora A., soprannominata Babette, come la protagonista del noto racconto della scrittrice Karen Blixen. Con la sua presenza, l’anziana donna garantisce equilibrio alla famiglia, che prima del suo arrivo provvidenziale “oscillava pericolosamente al vento come una pianta giovane”.
Le ferite, quelle inferte in età precoce, si richiudono soltanto a metà, suppurando negli strati più profondi della pelle, una pelle irruvidita dall’assenza di carezze. Non batte più il sole su quella corteccia, vive nell’ombra di ricordi sbiaditi che si perdono ogni notte negli stessi incubi. La storia che racconta Gianfrancesco Timpano è l’incontro di due solitudini che infrangono lo schema del loro dramma, nel tentativo inconscio di spezzare le catene di un passato che continua a ripetersi nella sua crudele insensatezza. Lei(la) e Lui(gi), l’atavica pazienza, sopportazione femminile in cui risiede la forza per affrontare le avversità e l’istinto a proteggere dalla rude sopraffazione fallocentrica, si osservano da lontano, si scelgono e si ritrovano per intrecciare le loro vite a un nuovo destino.“Lei sta sempre dietro i vetri, quando torno; mi va che ci sia il suo sguardo ad accompagnarmi, mi fa sentire più allegro e un po’ meno solo. A casa ho finalmente un pensiero bello da tenere con me nel disordine più totale.”
“Ora sento che posso permettermi di sognare, ci sei tu ad alimentare il mio desiderio di liberarmi del mio passato, ma soprattutto del mio presente, fatto delle stesse cose di allora.”
“Il calore che si danno ha l’effetto di rassicurare entrambi dalle paure tremende del tempo andato.”
Chi è Gianfrancesco Timpano
“e t’osservo… anima fragile di un velato rossore abbandonata alla carnalità di un amore appagato.”L’amore stilla come nettare nei verso di Oliveri, nei sapori più svariati, nei profumi più inebrianti che vanno dalla voluttà, passione e attrazione fisica all’amore puro, traducendo il classico contrasto fra eros e agape. L’amore si trasforma da amor terreno a forza totalizzante che unisce corpo e anima, un amore che ambisce a raggiungere un posto nascosto, un Graal quasi impossibile da scovare: “Perché Donna tu ne hai il mio senso nelle tue parole mai scritte…” L’amore carnale descritto dal poeta è dunque il desiderio di raggiungere l’altro in “antiche tristezze, desideri infiniti”, E’ quell’amore che il corpo anela vivere, ma che la voce non riesce a dire, quasi non esistessero frasi per definirlo, come accade nella poesia INCASTRO Non vi sarà mai il modo per enunciare il brivido che corre nel corpo quando cerco di te solo te non ho mai quella parola che possa essere l’incastro di un attimo perfetto perché ogni attimo è l’incastro che ancora devo realizzare ed io mi perdo mi perdo accecato del tuo immenso nel tuo immenso muoio senza te non dimenticarlo mai. E’ un sentimento irraggiungibile nella sua interezza, pregno di struggente nostalgia di una meta difficile da raggiungere: “… sfioro la felicità con il prezzo della sofferenza io esisto se esiste il viaggio io non esisto se non per tutta la durata del viaggio.” E’ un sentimento che desidera appartenere, competere con le parole che non lasciano via di scampo: APPARTENGO Appartengo nella grazia di un perdono appartengo ad un orizzonte terreno appartengo alla preghiera e a un cantico appartengo alla tua parola verbo che sfama verbo che disseta parola che mi appartiene io sono la tua memoria.
E allora, il senso dell’amore cos’è? Ci prova, a dircelo, l’autore nella sua poesia: NON SENSO Se mi chiedessi cos’è il senso dell’amore credo ti risponderei così dove l’infinito sa andare l’oltre e come l’oltre è eterno nella mia consapevolezza di cos’è l’amore nella sua complessità e di ogni giorno che trascorro in essa ne avverto il mio avvicinarmi ma conscio di un senso/non senso amare nell’amore seppure sfiorandolo il valore aggiunto nel dire ti amo ad una persona perché non vi è certezza in nulla ma solo istanti che scorrono come poliedrico vestito cucito addosso ai nostri desideri e alle nostre volontà questo è il mio senso. Chi è Alberto Oliveri“… ho una leggerezza chiamala di poesia ma ho una leggerezza che si racconta in puntini d’inchiostro come macchie di versi nella leggerezza di un mi manchi scritto a penna nel cuore e ti amo dove tu sei leggerezza fra le righe scritte di un velluto fiato di noi.”
Mini intervista all’autore
Da sottoufficiale della Marina Militirare ad autore di una raccolta in versi che denunciano un bisogno di fusione, carnale e spirituale nella relazione amorosa. Come scopre la vena poetica Alberto Oliveri e come convivono Ares ed Eros in te? “Innanzitutto ti ringrazio per questo spazio che mi hai gentilmente concesso, devo dire che la sensazione di un’intervista, per me che non sono molto abituato, mi emoziona parecchio, ma è anche fonte di grande piacere. Sì Sottufficiale ancora in servizio presso l’Istituto Idrografico della Marina Militare, ente cartografico delle Stato, organo ufficiale per la produzione e la divulgazione di tutta la documentazione nautica atta alla sicurezza della navigazione. Alberto in veste di scrittore si scopre per caso… Nasce un po’ di anni fa, quandi ero agli inizi su un social e trovavo tantissime immagini e foto che, essendo amante della fotografia, mi davano soddisfazione ed erano spunto per i miei pensieri. Ritengo che la svolta effettiva sia avvenuta dopo aver trascorso un periodo di terapia intensiva a causa di un infarto. Quando la gente parla di vedersi scorrere la vita davanti gli occhi è ver, è ciò che ho vissuto. Ricordo che provavo materialmente con la mano a prendere alcuni fotogrammi della mia vita, i primi ricordi che la mia mente custodiva, ma era tutto troppo veloce ed è stata quella la svolta. Sentivo il bisogno di esprimere, in qualche modo, il mio modo, forse delle volte criptico, duro e difficile da leggere, ma era mio e sapevo che nessuno poteva portarmelo via. Ares ed Eros, che connubio! Sono un Ariete, che dire di più? Il mio è un andare al massimo, un confronto continuo, è eccezionalità, differenza… Non posso legare o frenare la mia natura, se lo faccio, essa quanto prima riemerge. La forza che porto dentro delle volte fa male e non solo a me e la passione mi necessita come l’acqua. Se amo dò all’altra persona tutto l’oltre di me, non ho mezze misure.” Il mare fa da sfondo alle tue giornate, che nell’immaginario collettivo artistico si carica di un forte e variegato simbolismo. Cosa rappresenta per te, che scrivi poesie? “Il mare…Non mi piace il mare calmo, amo la burrasca del mare. Per dieci anni sono stato imbarcato. Il mare in burrasca è vivo, ti urla contro, ti sfida, ti chiama…è capace anche di premiarti, non sempre ma certamente ti lascia il suo segno dentro. Il mare per taluni è un orizzonte finito, per me è ricerca continua, rappresenta forse l’unica entità in grado di sapermi leggere sino in fondo, perchè sa custodire ciò che solo io posso sentire.” La tua produzione spazia dai versi alla prosa. Da cosa dipende la scelta dell’una e dell’altra e, soprattutto, per una tua prossima pubblicazione, quale sceglierai? “Ad esser sincero non ho mai ponderato scelte o differenze fra l’una e l’altra perché tutto nasce dal momento, da ciò che tre elementi (testa…pancia…cuore) entrano in sintonia, quindi è un tutto spontaneo per com’è, senza metriche o altro. Il prossimo tascabile sarà solo e semplicemente quell’emozione fuori da ogni riga di normale pensiero.”