“La fama è una gara, certo, e il traguardo è così lontano che a volte sembra non esistere davvero, ma per ora non c’è fretta di raggiungerlo, ed è più bello viaggiare insieme… basta non avere paura di andare avanti, aggrappandosi al proprio talento e prendendo la mano dei tuoi compagni di viaggio.”
Raccontata con una notevole padronanza stilistica, un intreccio cinematografico e una matura coerenza narrativa, la storia de L’educazione sentimentale dell’autore, designer e artista Leandro Conti Celestini, classe 1978, laureato in Storia dell’Arte, è un’iniziazione alla vita attraverso la scoperta di pulsioni sconosciute, brutali e al contempo necessarie. Mi libro in volo ha intervistato l’autore per approfondire le tematiche trattate nel suo secondo romanzo.
Ciao Leandro, e benvenuto nello spazio dedicato alle interviste di Mi libro in volo. Ho letto con piacere il tuo romanzo e devo ammettere che offre una serie di spunti di riflessioni. Vorrei, innanzitutto, sottolineare l’audacia dimostrata sia nella selezione delle tematiche affrontate, di cui parleremo a breve, sia della tecnica adottata, ovvero la narrazione in seconda persona per buona parte della storia. Come mai hai optato per questa scelta stilistica?
«Ciao, grazie a te per lo spazio, è un piacere fare due chiacchiere! La scelta della seconda persona risale a un paio d’anni prima, quando iniziai a scrivere il mio primo romanzo “Alle corde”. In entrambi ho messo esperienze personali e nello sperimentare a scrivere (non mi ero mai approcciato alla scrittura, sono sempre stato intorno alle arti visive) mi rendevo conto che né la prima né la terza persona, le classiche usate, riuscivano a rendere quello che volevo. La terza “staccava” troppo il personaggio dalle mie esperienze, la prima risultava un po’ troppo presuntuosa e forzata… la seconda invece mi ha dato la possibilità di rivolgermi quasi ad un alter ego in un modo che ho trovato sorprendentemente poetico, fluido e cinematografico. Da lì è diventato un po’ il mio marchio di fabbrica.»
“Tu sei sereno, luminoso… così… bello… non ci sono ombre sul tuo viso.”
«Sinceramente io li trovo molto simili, a parte che Andreas è gay! Mi ha sempre affascinato la figura del protagonista francese, da molti giudicato come “debole” ma che io invece considero semplicemente “dolce” nelle sue espressioni, nel suo modo di fare e anche nelle sue paure. Frédéric, inoltre, ha moltissime qualità positive: è altruista, rispettoso, onesto e, soprattutto, sa amare sinceramente… Spero che Andreas susciti la stessa empatia.»
“La città ti cattura sin dal primo momento: una distesa piatta di strade a scacchiera, edifici, case e palme a perdita d’occhio fino all’orizzonte, contro un cielo sempre azzurro e senza nuvole. Ti colpisce il suo stile veramente eclettico, a tratti vagamente latino, a tratti antico o americano: edifici dai colori vivaci, murales che occupano l’intera facciata dei palazzi, grattacieli di vetro, marciapiedi larghi e affollati, affiancati da strade ancora più larghe e battute da macchine moderne, d’epoca o stravaganti.”
Da Milano alla California, questi i luoghi in cui ambienti la tua storia, e negli anni ’90, trent’anni prima dell’epilogo, quando la capitale lombarda, come specifichi nel romanzo, non è ancora l’attuale città multietnica, mentre Los Angeles, che descrivi piena di “una moltitudine di stili che si accozzano in risultati variopinti e sorprendentemente belli da guardare” e che “dove se vuoi una cosa, te la prendi senza chiederne il permesso” rappresenta la libertà di espressione per Andreas, nonostante la durezza a cui bisogna sottoporsi per emergere. Si tratta di una città che conosci bene poiché ci abiti. Come mai hai scelto di trasferirti a Los Angeles e quanto di finzione ci hai messo, invece, nel romanzo?
«I miei romanzi hanno sempre elementi autobiografici, alla fine si parla sempre di quello che si conosce! In questo libro ho scelto di parlare di alcuni avvenimenti che ho passato come Andreas quando ero ragazzo, mentre nel primo romanzo rifletto sulla mia adolescenza e su come la vedo adesso attraverso i due personaggi principali. Ho scelto Los Angeles proprio per il senso di libertà che il Sogno Americano (dove appunto lì è fortissimo) ti permette di ottenere! Almeno così è successo per me, dopo che ho capito il meccanismo. Anche lo scrivere e molte altre esperienze che non mi sarei mai immaginato di incominciare sono state rese possibili proprio dall’atmosfera creativa che si respira: qui tutti fanno tutto, aprire un business è semplicissimo, anzi sei ispirato a farlo proprio vedendo i tuoi amici o semplicemente scambiando idee con altri creativi.»
“Sono stati gli anni peggiori della tua vita: non visto, non cercato, assetato di amicizie, amori o qualsiasi cosa pur di non restare solo.”
«Direi che più che ideali sono la sua essenza e personalità a tenerlo in vita: la sua caratteristica principale è il non mollare mai, neanche quando tutto sembra perduto. Forse è per questo che lui viene sottovalutato e in qualche modo ne esce vincitore. Alla sua età tutti noi siamo pieni di ideali (a volte anche un po’ semplicistici e scontati) ma con il raggiungimento della maturazione essi diventano più profondi e più veri. Non avendo davvero “vissuto” fino al suo arrivo a Los Angeles, il suo ideale più forte è il desiderio di amore, anche più del successo di cui ha solo un’idea vaga, senza sapere cosa davvero comporti.»
“Anche tu hai fatto così? Forse non sei sicuro di quale sia il tuo talento ma inizi a non avere più paura di come sarà il tuo futuro; nel presente di adesso hai iniziato qualcosa che ti sembra giusto.”
Andreas, dunque, matura attraversando momenti di euforia giovanile, delusioni cocenti, fino a reazioni di rabbia e grinta. La violenza rappresenta per lui una nuova forza propulsiva che lo mette di fronte alle sue ombre nascoste, proprio come afferma Freud a proposito di Thanatos “trassi la conclusione che, oltre alla pulsione a conservare la sostanza vivente e a legarla in unità sempre più vaste, dovesse esistere un’altra pulsione a essa opposta, che mirava a dissolvere queste unità e a ricondurle allo stato primordiale inorganico. Dunque, oltre a Eros, una pulsione di morte; la loro azione comune o contrastante avrebbe permesso di spiegare i fenomeni della vita”. Quella del ring che racconti vuole essere una metafora di questa duplice pulsione?
«Nei momenti sul ring Andreas (e chiunque altro) è come se entrasse in un altro mondo, dove l’inizio è il segnale del gong e la fine è la vittoria o la sconfitta. Non esiste nient’altro, solo buio attorno, quindi le uniche sensazioni sono la ricerca della “conservazione della sostanza vivente” ma anche una sorta di anestesia, dove tutto perde di importanza. Quindi potrebbe decisamente essere una buona metafora!»
“Tu sapevi di paura selvaggia, di sogni, di ragazzo affamato, di solitudine e di strade perdute.”
«Non ho mai pensato a queste due alternative, forse dovrei fare un po’ di psicoanalisi per scoprirlo! Elementi femminili in Andreas… non ne vedo troppi mentre elementi infantili decisamente di più (il pianto ma anche l’ingenuità e l’onestà) anche se non lo abbandoneranno mai. Forse invecchiare senza diventare adulti è proprio il mio augurio nei confronti della vita.»