Quella che state per leggere è una libera interpretazione sulla biografia di Emma Rauschenbach, meglio conosciuta come la moglie del grande psichiatra svizzero Carl Gustav Jung, in seguito alla mia visita alla casa museo di Küsnacht, dove la famiglia ha vissuto dal 1909. L’immagine di questa donna, qui di seguito raccontata in una visione romanzata, emerge dall’oscurità in cui è stata avvolta dalle cronache storiche, per rivendicare un posto di rispetto nella cultura femminile del Novecento.

“Amore e sacrificio. La vita di Emma Jung” dell’analista junghiana belga Imelda Gaudissart, Armando Dadò Editore.

«Ci possiamo immaginare le conclusioni della riunione degli dei che ha deciso sul destino da riservare a Carl ed Emma: “A te, Carl Gustav, apriamo le porte delle profondità dell’animo umano. Pagherai questo viaggio con prove terribili e lascerai dietro di te le tracce eterne del tuo passaggio”. “Emma! Tu tesserai la ricca stoffa su cui verranno scritte le opere del tuo sposo. Pochi conosceranno il prezzo che verrà chiesto per adempiere a quella che ha tutti i tratti di una ricca e spesso oscura tragedia.”» (Amore e sacrificio. La vita di Emma Jung – Imelda Gaudissart)

Un sussurro di voce, fra luci e ombre

Emma Rauschenbach Jung ha bussato alla porta del mio cuore con impeto, come se volesse squartarlo per far uscire dalle crepe, finalmente, la sua voce. “Emma, Emma, come hai potuto sopportare tutto quel dolore?” mi sono chiesta, e lei ha risposto dandomene un assaggio…

È notte sul Lago di Zurigo, un corteo di nuvole scure, cariche di pioggia, minaccia l’avvicinarsi di un violento temporale. In lontananza il rombo dei tuoni è accompagnato da un incessante bagliore di lampi che squarciano il cielo. Un forte boato fa tremare la terra e la pioggia inizia a scrosciare sulla folta vegetazione che circonda le sue sponde. Il sibilo del vento tra le fronde degli arbusti porta con sé sinistri lamenti che si trascinano sulla riva destra, a pochi chilometri dal centro abitato del piccolo villaggio di Küsnacht. La luce dei lampi illumina una porta di pietra dal frontone in stile neobarocco e lascia intravedere un’iscrizione in latino “VOCATVS ATQVE NON VOCATVS DEVS ADERIT” (Chiamato o non chiamato, il Dio sarà presente). Un forte vento innalza mulinelli di foglie che si spandono intorno sulla ghiaia e all’improvviso il portone si spalanca con un deciso cigolio. Un nuovo lampo rischiara la piccola scalinata che conduce all’ingresso. Poi una nuova e violenta raffica di vento richiude il portone alle mie spalle e l’oscurità ferma il tempo…

La fioca luce di una candela, al ritmo danzante di una tremolante fiammella, viene giù dalle scale. Si ode il fruscio di una vestaglia avvicinarsi all’ingresso. La luce rischiara la figura femminile che la indossa e che incede verso di me. Ha un viso rotondeggiante, capelli bianchi arruffati che ricadono appena sulle spalle robuste, un sorriso stanco ma accogliente. Solleva un lembo della vestaglia per non inciampare nell’ultimo gradino, è scalza. La sua è una presenza silenziosa ma al contempo rischiarata dal bagliore che irradiano i suoi occhi. Mi invita a seguirla. Con una mano spalanca una porta che si affaccia su un salottino che funge da anticamera alle cui pareti, tappezzate in stoffa dal rosa antico, sono appesi quadri che raffigurano austeri ritratti di famiglia; in basso, piccoli scaffali ricolmi di libri. Il pavimento è in parquet disposto a spina di pesce, agli angoli poltroncine e divanetti in tessuto dalle tenui tonalità. Sulla destra della stanza troneggia una stufa in maiolica azzurra, decorata con incisioni zodiacali. Dall’anticamera si accede a un ampio salone, dove improvvisamente si accendono i lampadari. Dal camino arde scoppiettando la legna e un vivace chiacchiericcio echeggia tra le pareti. Qualcuno ha preso a suonare il pianoforte e dal centro della stanza, dove è disposto un ampio e lungo tavolo in legno massiccio, proviene un ticchettio regolare di lancio di dadi. Una figura imponente, di spalle, conduce il gioco. Si volta leggermente e scorgo il profilo appesantito di un uomo di mezza età, che indossa un paio di occhialini tondi e porta un paio di baffetti ben definiti. Sulle sedie accanto a lui, cinque ragazzi eccitati urlano fra loro, incitando il padre a un nuovo lancio.

L’iscrizione latina che Jung volle incidere sulla porta d’entrata della casa di Küsnacht: “VOCATVS ATQVE NON VOCATVS DEVS ADERIT” (Chiamato o non chiamato, il Dio sarà presente).

Doni e rinunce sull’altare della Vita

La donna che mi fa da guida, la padrona di casa, Emma Jung, si volta chiedendomi di seguirla. Saliamo al piano superiore percorrendo la forma circolare della torretta intorno alla quale è costruita la tromba delle scale. Emma mi fa accomodare in un angusto salottino dalla candida tappezzeria, porgendomi educatamente una tazza fumante di tè. “Era qui che sostavano i pazienti prima di entrare nello studio di mio marito” e con gesti eleganti adagia le spalle nel basso schienale del divanetto. Il tono della sua voce è calmo, rassicurante, l’espressione del viso serena. “Con il tempo anche io, diventata psicoanalista, ho seguito i suoi pazienti, specie quando mio marito è stato sopraffatto dagli impegni che imponevano la sua presenza all’estero. Ha ritenuto che io fossi pronta per assumermi questo compito, del resto ha sempre condiviso con me, sin dall’inizio della sua pratica di medico, le sue ricerche. Quando vivevamo presso il Burghölzli, la clinica psichiatrica presso l’Università di Zurigo dove mio marito era assistente medico, ho collaborato attivamente con lui. Sono stata sempre attratta dalle ricerche scientifiche, un mio desiderio era proprio quello di dedicarmi agli studi scientifici, ma non mi è stato possibile, in quanto donna. Alla mia epoca non era consentito continuare gli studi, sebbene provenissi da una famiglia aristocratica della città industriale renana di Sciaffusa, dove nel 1880 mio nonno Johannes Rauschenbach-Vogel acquistò, risollevandola con estro creativo dalla bancarotta, una fabbrica di orologi fondata dodici anni prima e che presto passò nelle mani di mio giovane padre Johannes.” A questo punto socchiude gli occhi e rallenta il suo racconto per alcuni secondi. Sommessamente, canticchia un antico motivetto e un largo sorriso si disegna sulle sue labbra. “Stavo ricordando la mia magica infanzia, trascorsa accanto alla mia premurosa nonna paterna Barbara, a mia madre Bertha e alla mia amata sorella Margaretha, a Rosengarten, come era chiamata la nostra casa, fino a quando, dopo il 1890, mio padre decise di demolirla per trasferirci in collina, a Ölberg, dove aveva fatto costruire una lussuosa dimora dallo stile architettonico ridondante.” I suoi occhi si posano su una vecchia fotografia. Una bambina, di forse undici anni, per la statura, dallo sguardo più maturo, posa in un abito serioso. Improvvisamente, sulla parete di fronte si proietta una immagine in bianco e nero. Un giovane adolescente, sembra avere diciassette anni, sorprende la stessa bambina sulla scalinata di Rosengarten, illuminata da un raggio di sole accecante. Il ragazzo sembra estasiato dalla visione, la piccola gli è apparsa come una vera principessa, dal portamento distinto e lo sguardo dignitoso. Come in un film muto, rapide sequenze si susseguono: l’adolescente diventa uno studente di medicina a Basilea e stenta a mantenersi, ma spesso torna a far visita alla Signora Bertha Schenk Rauschenbach, legata a sua madre Emilie Preiswerk da profonda amicizia, e rivede Emma, ormai quattordicenne, alla quale viene promesso in sposo. “Non mi sentivo pronta ad affrontare una vita matrimoniale – interrompe bruscamente la visione Emma – ero nel pieno della mia giovinezza, leggevo avidamente, sognavo di continuare la mia formazione dopo aver terminato gli studi che comprendevano anche la conoscenza del greco e del latino, che si riveleranno utili in futuro per comprendere e approfondire la mitologia, ma come già detto non mi fu possibile, così mi lasciai convincere da mia madre che quello con il giovane Jung sarebbe stato un buon matrimonio. Del resto ero affascinata dalla sua cultura e nei suoi occhi si leggeva una profonda ambizione, e io non aspettavo altro che elevarmi nella mia curiosità e avidità di apprendere! Ci sposammo il 14 febbraio del 1903. Eravamo entrati nel XX secolo e troppe cose stavano cambiando.”

I coniugi Emma e Carl Gustav Jung nei primi anni del loro matrimonio, celebrato il 14 febbraio del 1903.

Dal piano di sotto proviene un brusco trambusto: qualcuno strilla, poi si odono passi scalpitanti, una vocina rotta dal pianto chiama sua madre. Emma, premurosamente, chiede scusa e torna nel grande salone. Durante la sua assenza lascio la scomoda poltroncina e comincio a osservarmi intorno. Spinta dalla curiosità, mi precipito nell’ampia biblioteca che si affaccia da un po’ alla mia vista. Sulla mia sinistra, un camino in pietra dove sono riposti cimeli di provenienza orientale, tra i quali un teschio di scimmia. La visione mi appare un po’ terrificante, ma in realtà a guardarmi meglio attorno, la cosa non stride affatto con il resto delle suppellettili che adornano la stanza: arazzi con mandala dipinti e altre statuine e immagini simboliche. Una strana sensazione mi pervade e mi sento risucchiare in un vortice di commozione. Sembra quasi che una mano invisibile mi guidi in ogni angolo della stanza e uno spirito benevolo mi sollevi l’animo. Comunicante alla biblioteca, appare lo studio di Jung. I miei passi si arrestano per alcuni secondi, poi con solenne devozione mi incammino verso lo stanzino. L’atmosfera è sobria: uno scrittoio su una parete e piccoli scaffali di libri sull’altra. Ciò che colpisce la mia attenzione sono le tre vetrate variopinte. La luce dei lampi riflette le scene che vi sono disegnate, tratte dalla Passione del Cristo, dalla Croce alla Resurrezione, a cui lo psichiatra attribuì una forte valenza simbolica alchemica.

Tollerare la Crocifissione per l’uomo è un atto eroico, coraggioso, il momento catartico in cui l’individuo riesce a mantenere la tensione degli opposti, Bene/Male, Vita/Morte, Luce/Oscurità, attraverso la Resurrezione, passaggio ultimo di un processo di trasformazione interiore, che conduce a quello che egli ha definito il lungo e interminabile processo di Individuazione nella vita dell’uomo, il passaggio dall’Io al Sé.

Penso a quanto le sue teorie abbiano rivoluzionato la storia della psicoanalisi, all’importanza del suo contributo in quella che fu una vera e propria rivoluzione del nuovo secolo. Come se mi stesse leggendo nei pensieri, appare alle mie spalle Emma. “Fu un infaticabile ricercatore nei primi anni di matrimonio trascorsi presso il Burghölzli che non era un posto ameno in cui cominciare una unione coniugale, ho sofferto per l’atmosfera cupa e spesso spaventosa che si respirava a causa dei lamenti dei pazienti. Mi sforzavo di rendere più accogliente e raffinato l’ambiente e alleggerivo l’animo con gli studi sul Graal, una ricerca il cui interesse era nato pochi anni prima durante un mio soggiorno a Parigi e che mi assorbì per tutta la vita. In ogni caso riuscii a farmi apprezzare dal personale e dai dottori, mi sentivo benvoluta, mio marito mi coinvolgeva nei suoi studi e divenni sua assistente. Poi arrivò il fatidico 1904…” Penso a quella data e subito lo associo al nome di un’altra donna celebre sulla scena della psicoanalisi: Sabina Spielrein. Sul volto di Emma, luce e ombra si alternano rapidamente. “Il 26 dicembre nacque la nostra prima bambina, Agathe, che aspettavo da un po’ quando in agosto giunse al Burgholzli Sabina.” Al posto della smorfia di dolore che mi aspetto, noto con mio grande stupore un abbozzo di sorriso. “In molti hanno parlato del torbido rapporto amoroso fra Sabina, la sua prima paziente diciannovenne con la quale applicò i suoi nuovi metodi psicoanalitici, e Carl, all’ombra della mia devozione di moglie, giovanissima moglie alle prese con le numerose gravidanze. Fu un rapporto che scombussolò non solo la nostra vita matrimoniale, ma la psicoanalisi stessa, che di lì a poco vide acuirsi il contrasto fra mio marito e Freud, con il quale cercai di mediare tramite una fitta corrispondenza epistolare, all’insaputa di mio marito. Il grande Maestro mi ha attribuito il talento di redimere i conflitti. Eravamo uniti da una profonda stima reciproca e con sua moglie Martha avevo creato un legame di amicizia, sebbene fossimo tanto diverse in fatto di convinzioni religiose e tradizioni sociali.”

“Di solito vado abbastanza d’accordo col mio destino e vedo benissimo di essere fortunata, ma a volte sono torturata dal conflitto, come fare a valorizzarmi accanto a Carl. Non ho amici, tutti quelli che ci frequentano non vengono che per Carl. Tutte le donne sono naturalmente innamorate di lui e dagli uomini vengo immediatamente scartata in quanto moglie del maestro o dell’amico … Carl mi dice anche che non dovrei concentrarmi solo su di lui e sui bambini, ma come faccio a fare una cosa simile?” (Sigmund Freud-C.G. Jung: Corrispondenza 1906/1914)

Nonostante le sue parole pronunciate con tono pacato, percepisco un urlo represso che giunge da lontano e ancora mi si parano dinanzi immagini in bianco e nero. Una donna dagli occhi gonfi che si tiene il ventre ingrossato e soffoca singhiozzi, una donna che trattiene relazioni con medici e pazienti diffondendo sorrisi e parole concilianti, una moglie accomodante e disponibile dopo violenti eccessi di rabbia. “Il dolore o ti spezza o ti ricompone più forte di prima. È un lungo e penoso percorso quello della redenzione interiore, ma io ci sono arrivata” riprende Emma. “Tra il 1909 e il 1910 ci trasferimmo in questa dimora, il nostro arrivo nella casa sul lago profumava di un nuovo inizio e invece nello stesso periodo un nuovo dramma si stava abbattendo sul ritrovato idillio familiare.” So bene che si riferisce alla morte del padre di Toni Wollf, che a seguito della depressione in cui sprofondò per la perdita paterna divenne paziente di Jung, in seguito sua collaboratrice, esploratrice dell’inconscio assieme a lui e amante, convivente nella casa degli Jung fino alla sua morte. “Non voglio essere ricordata per l’infedeltà coniugale di mio marito. Non ce lo meritiamo entrambi. È una visione limitante della nostra storia, che stride con il pensiero che Carl ha sviluppato e che si rivela ancora in continuo divenire. Capisco bene che, seppure il XX secolo sia ormai passato, a molti la nostra situazione sentimentale appaia intollerabile, inaccettabile. Come tutte le giovani donne giunte troppo presto e inaspettatamente al matrimonio, credevo in un legame esclusivo e indissolubile. Eravamo troppo giovani quando questa scienza così potente prendeva piede e mio marito la trasformava, troppo giovani per capacitarci che ci stava risucchiando prepotentemente. Siamo stati attori su questo palcoscenico, marionette forse di un Fato indispensabile per uno scopo superiore.” Nei suoi occhi si intravede un’espressione di pace. “Toni è stata una mia rivale, ma anche un supporto. Da nemiche, con gli anni siamo diventate alleate. In fondo lei era una anima persa e solitaria, che con la sua intelligenza e cultura colmava un grande vuoto interiore, io avevo una vita piena, godevo del focolare domestico e familiare che ogni donna desidera. Non ce l’avrei fatta senza di lei a comprendere e sostenere sempre Carl. E io stavo crescendo, fuori e dentro me. Da giovane ventenne, moglie devota e innamorata, ero diventata la nota e apprezzata consorte di un grande pioniere di un rivoluzionario metodo di esplorare la psiche umana. Madre indaffarata, appena potevo mi trasformavo in assistente e studiosa e in questo ero incoraggiata da mio marito, l’uomo al quale non avrei mai rinunciato. Era il padre dei miei figli, ma non solo per questo, io non avrei mai rinunciato a restare al fianco del Dottor Carl Gustav Jung! E in virtù del percorso interiore e intellettuale di quest’uomo, io ho riscattato il mio destino. Egli stesso nella sua opera L’io e l’inconscio ha affermato: «A ogni passo verso l’individuazione si produce una nuova colpa, che richiede una nuova espiazione. I nostri peccati, errori e colpe sono necessari, altrimenti saremmo privati dei più preziosi incentivi allo sviluppoProprio così, è stato necessario, per quanto doloroso, agire in vista di un’etica superiore. «Qui si può domandare perché mai sia desiderabile che un uomo si individui. È non solo desiderabile, ma indispensabile, perché l’individuo, non differenziato dagli altri, cade in uno stato e commette azioni che lo pongono in disaccordo con se stesso. Da ogni inconscia mescolanza e indissociazione parte infatti una costrizione ad essere e ad agire così come non si è. Onde non si può né essere d’accordo in ciò né assumerne la responsabilità. Ci si sente in uno stato degradante, non libero e non etico.»
E questo processo di individuazione, il fine dell’esistenza umana, reca in sé i semi per la sviluppo di una nuova collettività. Il dolore mi ha lacerata, ma è servito a elevarmi.” Mi colpiscono la sua calma e la discrezione con cui descrive il lavoro svolto da suo marito, l’ammirazione che ne deriva. Jung l’ha definita “una colomba senza peccato”, una personalità centrata “al suo posto”, alla quale ha affidato la sua intera vita, privata e professionale. Quando nel 1944 Jung attraversò un lungo momento di debilitazione fisica, Emma gli fu accanto con riservatezza e gentilezza e quando successivamente lei si ammalerà a causa di un cancro e devotamente predisporrà, secondo quanto previsto dalla legge svizzera che la sua fortuna finanziaria andasse al marito, preservandolo da preoccupazioni future, l’uomo sprofonderà in lunghi mesi di depressione. La donna che lo aveva sempre sostenuto, aveva sempre organizzato con rigore la loro vita sociale, mostrandosi premurosa verso tutti, dai medici ai pazienti ai quali in occasione di lieti o tristi eventi non si risparmiava in parole gentili o di compassione, che pensava sempre al suo abbigliamento in vista di incontri rinomati, che lo preservava da eventuali disturbi che la numerosa prole e in seguito i nipoti avrebbero potuto arrecare ai sui studi, condividendo con pazienza e premura il suo tempo con loro nello svolgimento di compiti e nell’ascolto attento delle loro esigenze … quella donna, la sua roccia, la Regina, come la definirà alla sua dipartita, adesso era scomparsa, lasciando dentro e fuori sé stesso un segno profondissimo.

“È senza dubbio una triplice sfida quella che venne proposta ad Emma. Quella di assicurare l’equilibrio della sua famiglia, di mantenere la saldezza della coppia e, con pari determinazione, perseguire lo sviluppo della sua vita psichica e intellettiva. Questo triplice obiettivo l’ha tenuta col fiato sospeso. Di fronte alla forza emanante dall’uomo Jung, ha dovuto trovare in se stessa abbastanza risorse per mantenere la propria autonomia. Questo compito l’ha maturata, arricchita, le ha portato vera gioia.” (Amore e sacrificio. La vita di Emma Jung – Imelda Gaudissart)

La famiglia Jung nel 1915 a Château d’OEx. A sinistra Franz, nato nel 1908 abbracciato al padre, seguono sedute Emma con la piccola Marianne e le sorelle maggiori Agathe, la primogenita nata nel 1904 e Margaretha nata nel 1906. Manca nella foto la piccola Hélène, detta Lili, nata nel 1914.

Pensiero e opere di Emma Jung

“Come l’Anima per mezzo dell’integrazione apporta Eros alla coscienza, così l’Animus apporta Logos; e come l’Anima presta alla coscienza maschile relazione e connessione, così l’Animus presta alla coscienza femminile riflessività, ponderatezza e conoscenza”
(Aion-C.G. Jung)

“Nel 1916 entrai a far parte del Club di Psicologia di Zurigo come primo presidente e socia, con mio marito e altri, fra i quali anche la Wollf che ne diverrà presidente nel 1928, con lo scopo di dar vita a un’organizzazione di individui che avevano sperimentato l’analisi individuale.” Continua il suo racconto, questa volta accarezzando una fotografia che la ritrae a pochi anni dalla sua morte. Ha i capelli raccolti, indossa un abito bianco e tiene stretta fra le mani una borsa dello stesso colore. Ma ciò che colpisce è lo sguardo disteso e il sorriso radioso, espressione che non è possibile cogliere nelle fotografie scattate nei primi anni di matrimonio, dove appare quasi sempre austera e in pose rigide. Quando Emma aveva sessantacinque anni, nel 1947, fu pubblicato in tedesco il suo saggio “Animus e Anima” analisi chiara e semplice della realtà psichica delle due immagini archetipiche, ovvero Anima l’immagine femminile nell’uomo e Animus, l’immagine maschile nella donna. L’autrice ammonisce che ciascuna delle componenti non deve essere né ignorata né tantomeno soffocata, ma soprattutto non bisogna farsi dominare da essa. Quello del principio maschile Animus viene definito da Emma Jung un problema. Per intenderci, esso si esprime nel termine greco logos: volontà, azione, parola e pensiero. Me la immagino Emma Jung, illuminata da una sicurezza interiore, scrivere febbrilmente e sostenere le sue teorie che vanno ben oltre la posizione estrema assunta dal movimento femminista. Le parole di Emma sono il lungo risultato di un’Odissea interiore, il viaggio di un’anima che guidata finalmente da un vento favorevole approda a un’isola di pace: “Così come ci sono uomini dotati di particolare forza fisica, uomini d’azione, uomini abili con le parole e uomini di pensiero, anche l’immagine dell’Animus è diversa a seconda del livello di sviluppo o delle doti naturali della donna che lo porta in sé. (…) Alcuni sostengono che la donna non abbia in realtà alcun bisogno di occuparsi di questioni spirituali o intellettuali, giacché questo non sarebbe che un goffo tentativo di imitare l’uomo o l’espressione di un istinto di competizione sotto al quale si nascondono manie di grandezza. (…) Non siamo tentate, come accadde a Eva dalla bellezza del frutto dell’albero della conoscenza, né vi è un serpente che ci incoraggia a goderne: piuttosto, ci è stato dato un ordine. Ci troviamo di fronte alla necessità di addentare questa mela, buona o cattiva che sia, e di riconoscere che il paradiso della naturalezza e dell’incoscienza nel quale molte di noi indugerebbero ancora è finito per sempre. (…) Se la donna non affronta il problema, se non tiene dietro ai progressi della coscienza e dello spirito, l’Animus si rende indipendente e comincia ad agire in modo distruttivo sia sull’individuo che sui suoi rapporti con gli altri. (…) nella donna è presente una certa quantità di libido destinata allo svolgimento di funzioni intellettuali. (…) Pare tuttavia che occuparsi di questioni intellettuali e oggettive non sia sufficiente, e ciò è dimostrato dal fatto che molte donne, pur avendo studiato e pur svolgendo una professione di tipo maschile- intellettuale, nono sono mai venute a capo del problema dell’Animus. Un tipo di educazione e un modo di vivere esclusivamente maschili possono infatti aver luogo solo sulla base di una totale identificazione con l’Animus, cosa che tuttavia implica la soppressione della femminilità. È invece fondamentale che l’elemento spirituale, il logos presente nella psicologia femminile, venga integrato al modo di vivere e alla personalità della donna in modo tale che i fattori maschile e femminile cooperino armoniosamente e che nessuno di essi sia condannato e restare nell’ombra.”

“Psicologicamente il Sé esprime la totalità dell’essere umano che trascende la coscienza. È alla base del processo di individuazione e, attraverso questo lavoro di trasformazione, diventa gradualmente consapevole.” (Aion – C. G. Jung)

La scoperta della strada da intraprendere per completare la propria grande opera è una ricerca lunga e tortuosa, come quella intrapresa dal cavaliere Parsifal per ritrovare il Graal, la coppa che contiene il sangue di Cristo, simbolo femminile, il mistero dell’Anima che viene portata alla coscienza. Per anni Emma Jung studiò e tradusse testi mistici sulla leggenda, in cui ritrovava il riflesso del dramma psichico umano, la ricerca del senso della vita. Le sue numerose ricerche furono pubblicate, per volere di Jung, dall’allieva Marie-Louise von Franz con il titolo Psicologia del Graal”. La leggenda del Graal esercitò su Emma un profondo fascino per tutta la vita, a riprova del fatto che il percorso verso il suo valore, del Sé, a lungo ignorato, è emerso alla coscienza non senza sacrificio.

Emma Jung a pochi anni dalla sua morte.

È quasi l’alba, le nuvole si stanno dissolvendo e il cielo è rischiarato dai primi spiragli di luce che adesso penetrano attraverso le vetrate che si affacciano sul lago. Il volto di Emma è splendente, irradia la stanza come un astro nascente, una donna che si fa dea, proprio come nelle parole di Cicerone:Le stelle poi occupano la zona eterea. E poiché questa è la più sottile di tutte ed è sempre in movimento e sempre mantiene la sua forza vitale, è necessario che quell’essere vivente che vi nasca sia di prontissima sensibilità e di prontissimo movimento. Per la qual cosa, dal momento che sono gli astri a nascere nell’etere, è logico che in essi siano insite sensibilità e intelligenza. Dal che risulta che gli astri devono essere ritenuti nel numero delle divinità.”

Si avvicina alle finestre e la sua immagine si confonde nella luce di un nuovo giorno.

E nelle lunghe e fredde notti d’inverno, in cui le donne si ripiegano su se stesse, alla ricerca di un riparo sicuro, ecco che una figura dallo sguardo luminoso e compassionevole appare nel buio, giunta da un lontano passato, ad accarezzare quelle spalle ricurve che presto esse troveranno la forza di sollevare per realizzare il sogno di se stesse. Emma Jung è fra loro.

 

Altre fonti: “Oltre l’Ombra. Donne intorno a Jung” di Nadia Neri – Borla Editore