«La logica può fare luce solo su una piccola parte di quel che si viene a sapere, o di quello che uno si ricorda.»
Non ha paura di far sentire la sua voce Claudia Lanteri, si ritaglia il suo spazio con sicurezza e maestria. È una voce che incanta per la sua precisione linguistica. Le parole sono scelte con cura nel suo romanzo d’esordio pubblicato da Einaudi, dal titolo “L’isola e il tempo”, attingendo sovente dalla tradizione vernacolare, che dà corpo alla narrazione, una impronta neorealistica dagli echi veristi, illuminando il luogo-non luogo in cui l’autrice sceglie di ambientare la sua storia. Questo luogo è un’isola siciliana, situata “di fronte alla ‘Mpidusa”, una piccola isola in provincia di Agrigento, poco popolata, dalla vegetazione brulla e la terra scura, all’ombra del Monte Rosso. Un posto dove “A stare soli uno è padrone di tutte le cose, passate e presenti, le abbraccia a colpo d’occhio, tutte insieme”, dove non è ancora arrivata la corrente elettrica. Qui gli abitanti sopravvivono di pesca, di coltivazione di capperi e lenticchie, e di pastorizia. Siamo nell’estate del 1958 e il tredicenne Nonò, al termine della scuola, dopo aver ripetuto due volte la classe sesta perché non può permettersi di continuare gli studi, sale tutti i giorni in cima alla montagna a osservare l’isola per avvertire le novità che porta la giornata.
È giunto sull’isola Edoardo Dalmasso, un professore “del tipo naturalista” che raccoglie campioni di piante e animali, e Nonò ha preso a osservarlo e seguirlo, finendo per diventare il suo giovane assistente, esperto del territorio, “curioso e sveglio”. Insieme osservano la covata delle turriàche e le cimici carabiniere, raccolgono i fiori del cappero per poi appiattirli con la pressa idraulica e incollarli sui quaderni, scrivendoci i nomi in latino. La quiete isolana viene interrotta dall’arrivo di un barchino verde, guidato dall’unico superstite del naufragio di una barca a vela che, come racconta il sopravvissuto, è stato causato da un incendio. Sul barchino c’è anche il cadavere della moglie del naufrago. L’inchiesta che ne deriva crea fermento sull’isola, in particolare nell’animo di Nonò, che incalza dietro alle supposizioni di omicidio del professor Dalmasso nei confronti del superstite Surico, tanto più perché è comparso un manoscritto della vittima, la moglie del sopravvissuto, che Nonò ha trafugato. Ma le indagini vengono sabotate e il professore fa rientro nel continente. Inizia così il tormento di Nonò, intestardito dal voler restituire giustizia al mistero del naufragio, che ha causato anche la morte di minori. A questo punto i piani temporali si sovrappongono di continuo e l’autrice comincia a tormentare il lettore.
Ma Claudia Lanteri si può permettere di giocare con il lettore, in primis perché la sua è una letteratura “col rampino”. In “L’isola e il tempo” si ravvisano potenti echi letterari: da Verga, a Morante e Conrad, Omero, Melville, Poe, fino a Pirandello e a Calvino.
Inoltre, la solida e singolare struttura narrativa del romanzo, conferisce potenza all’autorialità di questa nuova voce nell’editoria contemporanea, al punto che al lettore pare di conoscerla da tempo.
Scheda del libro:
Autore: Claudia Lanteri
Genere: Narrativa
Casa editrice: Einaudi – Collana “Unici”
Pagine: 368
Prezzo: Euro 19,00
ISBN: 9788806261160
Con la sua destrezza letteraria, l’autrice trasporta il lettore in una ricerca del tempo continua, perché è proprio il tempo il vero protagonista del romanzo, un tempo circolare ma anche un tempo dilatato, perché quello che circonda l’isola, il mare, ha un suo tempo, e come è questo tempo? É fluido, è impetuoso, è calmo, a volte, ed è anche ostile.
Il lettore viene cullato dalle onde della creatività dell’autrice, che si capisce subito essere una creatività potente, metaletteraria.
«È solo un racconto, Nonò, Dimenticati di tutta questa faccenda e vai avanti. Incaponirsi a drizzare un legno storto non serve a nulla. (…) Sento salire la rabbia come un sapore di veleno nella bocca. (…) E allora i racconti a cosa servono, se non servono a nulla? (…) A cosa servono i racconti non lo so. Vorrei poterti dire che è più sicuro affidarsi alla scienza, ma anche da quella mi sento tradito. A qualche cosa servono: è come se tu potessi metterti un paio di occhiali a fantasia per vedere il mondo in un modo nuovo, che non avevi previsto o calcolato.»
Lo scrittore crea, crea le storie, le storie nelle storie con le parole, e la storia e la parola di Claudia Lanteri sono corpose, magmatiche, precise, persino feroci. L’acqua è fluida, ma nel caso di Lanteri non è legata all’emotività viscerale, ma a un tipo di emotività più controllata che cova, proprio come un’onda può travolgere all’improvviso.
«Non mi persuado ancora di andare a letto: è una notte senza una goccia di luna o stelle; quando è così, il fondo del mare brilla dall’interno, come se tutte le meduse, e le anguille, e i pesci lanterna offrissero la loro luminescenza per indicare il cammino al cercatore stanco.»
E cosa, o meglio chi è l’elemento che scatena questa onda d’urto? É Nonò, il Nofriu di un tempo passato, che si muove nella storia come un folletto che sbuca dalla memoria di Nofriu adulto e ingarbuglia le fila della trama. Nofriu e Nonò, nel duplice piano narrativo che escogita l’autrice, sono due personaggi diversi, il primo è il personaggio del presente, l’altro del passato, ma le cose si scompigliano al punto da trascinare il lettore nel mistero dei misteri letterari: l’inquietante animo umano alle prese con la propria coscienza. Nonò ricorda e racconta senza sosta, ma quanto c’è di vero nelle sue parole? Ci si può fidare della sua memoria labile, colpita dal dolore?
«In quest’ora le cose si confondono nel ricordo, i vivi coi morti, non importa quante volte io riprendo a raccontarli da capo. Anche i loro volti restano volatili, difficili da riagguantare, come i fumi sdegnosi della ventarola che mi hanno dato alla testa, come la vita che accade sempre a un passo da me.»
Nonò è l’innocenza della vita, la pagina bianca, immacolata, che il lettore deve scoprire e riempire con le sue supposizioni. Nonò si imbatte nel male, nell’oscurità, nell’ombra che porta il mare, un crimine che destabilizza il suo equilibrio isolano. Pur sperduta in mezzo al mare, lontana dal continente, l’isola di Nonò riceve lo schianto di un dolore, la sferzata brusca del male, e questo lo getta nello sconforto, perché “è una lotta amara, restituire giustizia.”
La verità ha molteplici volti, non sai mai da quale parte sta girata, e ti arrovelli per capire quale è quella definitiva, ma non arrivi mai alla vera verità. Nonò si tormenta, si sente protagonista di quella bufera che si è abbattuta sull’isola, se gli altri abitanti dimenticano, lui non può, si domanda anche se ha una parte di colpa anche lui in tutta la storia. Alla propria coscienza non si può sfuggire: lontano dal mondo o immerso nel mondo, l’essere umano è destinato a scontrarsi con l’oscurità. Come dice Conrad, il mare è complice dell’irrequietezza dell’uomo.
E il mare dell’sola di cui racconta Claudia Lanteri è un mare dalle oscure profondità, dove non ci si bagna. Gli abitanti, le donne specialmente, non si fanno bagnare dalle acque, perché “siamo un’isola, il mare non ci bagna.” È un mondo circoscritto, dal quale non fuggire, perché “di mal di terra non è morto mai nessuno.” Eppure Nonò ogni mattina si affaccia dal confine dell’isola raggiungendo la cima del monte. Nonò è l’elemento di disturbo, l’outsider fra gli abitanti, che va alla ricerca della verità nascosta fra le acque oscure e abissali, sfidando le colonne d’Ercole del limite psichico umano, perché quel mare turba ma al tempo stesso attira. E dal mare prima o poi bisogna farsi bagnare, per poi riemergere in una nuova terra, uscendo dal ventre che ci ha custoditi troppo a lungo nell’innocenza.
Infine, non si può trascurare di spendere parole sulla Sicilia raccontata da Claudia Lanteri, una terra che, se da un lato profuma di antico ed esibisce la sua immobilità arcaica, dall’altro prorompe in una raffica di modernità, che si ravvisa soprattutto nell’ancestrale mistero femminile, in parte stregonesco, in parte ribelle e sovversivo.
«- E tu nuvola brutta oscura che sei venuta a fare? Con il cucchiaio di legno mescola e con la schiumarola toglie i grumi: la fronte nemmeno sudata, non sembra stanca, sembra una maga alla mescita di pozioni. Mi pare che il vento porti ancora qualche volta l’eco delle sue litanie. “Ecco, tre gocce con la luna piena, e poi mangia una crosta di pane, mangia una crosta di pane e io te le strappo dai denti e dico: Questo è il pane mio!” Ascoltavo in silenzio per impararle. (…) mai ha voluto insegnarmi i suoi scongiuri e i suoi poteri, gelosa, e quante volte mi sarebbero serviti. Anche ora nel ricordo, mi scopre e mi riporta a letto: la sua mano si sofferma sulla fronte, anche se affaràta di vapori è carezza che rinfresca.»
Chi è Claudia Lanteri:
vive a Palermo, dove fa la libraia. Ha pubblicato racconti su varie riviste («Snaporaz», «Malgrado le Mosche», «Micorrize »).
L’isola e il tempo (Einaudi 2024) è il suo primo romanzo.